Diario di una puttana
Batto. Da quando ho sedici anni. Anche io che sono una puttana scrivo i miei diari. Non ho iniziato subito. Noi puttane non abbiamo nazionalità. Non abbiamo nemmeno un’età precisa. Sono in Italia da quando ho compiuto sette anni. Come se ci fossi nata. Ricordo la prima volta. Inutile che dica che sono sfruttata. Il mio pappone è un pappone per bene. Non mi picchia e mi lascia l’ottanta per cento di quello che guadagno. Mi lascia lavorare con i miei tempi. Ora ho un discreto numero di clienti. Molti dei quali abituali. La prima volta è stata terribile. Quando stacco dal lavoro piango. Non sempre. Spesso penso a mio nonno, morto nel mio paese due anni fa. Piango perché i miei primi ricordi d’infanzia sono legati alla sua figura. Mio padre era sempre in giro per lavoro. Ad oggi non so bene che lavoro svolgesse, mio padre. Penso a mio nonno e piango per non averlo potuto salutare. Avrei voluto tirargli la barba per l’ultima volta e sentire la sua voce bassa e rauca raccontare una storia più o meno realistica della sua vita. Ripenso ai pomeriggi sereni con i miei cugini, che ora si trovano in chissà quale parte del Mondo. Ma il mio primo giorno di lavoro ero curiosa della vita che mi attendeva. Un camionista che di grosso aveva solo il suo mezzo di trasporto. Magro e impacciato. Poco più che ventenne. Sì ferma e con estrema timidezza mi chiede delucidazioni. Era la sua prima volta, almeno così aveva detto. L’aria era frizzante. La classica atmosfera delle notti di inizio aprile. Un cielo stellato rendeva tutto un po’ meno agitato, un po’ meno faticoso. La statale è sempre stata molto poco illuminata. Un vecchio rudere a bordo strada mi dà riparo nelle notti più fredde. Per stemperare l’imbarazzo iniziale gli ponevo alcune domande sulla sua vita. Non mi interessava veramente la risposta, volevo solo che si sciogliesse. Era in ansia e quasi tremava. È la mia prima volta, mi diceva mentre mi spogliavo e mi rendevo operativa. In quel momento riusciva a rilassarsi. I dieci minuti seguenti erano stati abbastanza terribili. Goffo, sgraziato. Troppo violento o troppo delicato. Lo giustificavo perché era la sua prima volta. Ma era stato davvero terribile. Avevo dovuto guidarlo io per tutta la durata. E pure pensavo di essere io l’inesperta, anche se le mie due esperienze da ragazzina libera già le avevo avute. Ora ho quasi trent’anni e da quella sera ne sono passati di clienti. Ho svezzato tantissimi giovani uomini. Soddisfatto le voglie trasgressive di signori di mezza età, ho fatto compagnia a vecchietti sulla via del tramonto. Continuo a piangere e ad avere nostalgia. Continuo ad avere una fottuta paura del futuro, anche se con questo lavoro riesco a mandare molti soldi a mia madre. Ho paura perché con questo lavoro le persone tendono a fuggire. Poi sorrido pensando a quel camionista magro e impacciato. Chissà che vita sta passando. Nel salutarlo gli dicevo spero che mi porterai fortuna. Così non è stato. E invecchio tre anni in uno, visto che sono ancora qui a fare la puttana.