Me lo ha detto Mario Vargas Llosa
Domenica 13 settembre ho visto Mario Vargas Llosa, Nobel per la letteratura del 2010, al Festivaletterature di Mantova. Ancora non mi capacito di come sia potuto avvenire: ho saltato una lezione di Master, sconfitto influenza e lo sciopero dei treni improvvisando poche ore prima il mio battesimo su BlaBla Car, facendo un piccolo magheggio con la conversione del biglietto virtuale in biglietto in cartaceo, necessario per l’entrata. Non so ancora bene come, ma sono arrivata in prima fila. Laterale, fino al momento in cui una signora mi spiega che voleva registrare l’audio dell’evento e mi chiedeva quindi se era un problema spostarmi dal mio posto davanti alle casse per andare al suo, prima fila centralissima. Ma no, non si preoccupi Signora.
La literatura es fuego
Mi piazzo lì, naso a naso con Vargas Llosa. Grandi applausi. Ma ripercorriamo le tematiche affrontate durante la conferenza: Ernesto Franco inizia richiamando il paragone dello stesso autore fra spogliarellisti e scrittori. Lo scrittore è uno spogliarellista al contrario: inizia a scrivere completamente nudo, poi piano piano si riveste di finzione.
Poi si interroga sul processo creativo chiedendosi perché alcune piccolezze e dettagli rimangano marcati e scatenino qualcosa nell’inconscio e nell’immaginazione ed altri, apparentemente più sensazionali, non evochino assolutamente nulla. Conclude riflettendo: questo è un mistero che non ho ancora risolto. Racconta di quando addirittura fu un romanzo a colpirlo a tal punto da spingerlo a scrivere a sua volta un testo legato a quel libro. Fu la prima e l’ultima volta che lo fece. Cosa scattò, fra Vargas Llosa e quel libro di un autore brasiliano?
Franco cita poi Carpentier e discute con l’autore degli enormi contrasti dell’America Latina: grattacieli e la pampa, dittature e mito della gioia e della libertà, indigeni in terre sperdute e metropoli sovrappopolate. Il Nobel ipotizza che questa situazione adesso non appartenga soltanto al Sudamerica ma che oggi tutti i luoghi conservino un lato rurale, lontano dalla tecnologia, che anche il fanatismo religioso vive in compresenza con le scienza e la tecnologia, che una cosa non esclude l’altra. Coesistono più epoche e nessuna città può dirsi veramente civilizzata.
Personalmente, mi viene spontaneo opinare che la ricerca della ruralità in alcune parti del mondo è ormai artificiosa e forzata. Ma a livello globale penso che Vargas Llosa abbia centrato il punto: viviamo più epoche contemporaneamente e nessuna parte del mondo può dirsi completamente civilizzata. Fa bene ricordarlo, ogni tanto.
La domanda immancabile è poi stata: cosa è la letteratura? La literatura es fuego. La letteratura è fuoco. Questo nei totalitarismi si vede ancora di più: tutte le dittature temono la letteratura e creano sistemi per eliminarla. “Y la temen con razón”.
Può esistere un futuro senza romanzi, ma non senza finzione
E ancora: può esistere un mondo senza romanzi?
Certamente, dice Mario Vargas Llosa. Però non può esistere un mondo senza finzione. L’uomo ha bisogno di uscire da sé. Oggi la comunicazione è sempre più visiva, sì, e le serie tv possono sostituire il romanzo. Ma la televisione è più superficiale, non chiama all’introspezione e al lavoro intellettuale che richiede la lettura, non coinvolge la fantasia, lascia passivi davanti allo schermo. L’uomo non potrà mai fare a meno della finzione perché ha bisogno di uscire da sé, di essere gli altri, viaggiare nello spazio, nel tempo, arricchirsi, penetrare negli altri e guardarsi da fuori, dal loro punto di vista. E così, a dire dello scrittore, si scoprono i denominatori comuni fra tutti gli uomini. Si scopre l’umanità. Antidoto di uno scrittore ottimista per sognare di raggiungere la fratellanza su scala globale attraverso la scrittura?
Quando Franco propone allo scrittore il binomio di “esattezza e fantasia”, questi ammette con umiltà che non ritiene gli appartenga completamente, e lo lascia con rispetto al collega J.L.Borges. A ragione.
Allora si riprende il discorso sulla scrittura e la finzione, riportando il viaggio in Congo dell’autore per documentarsi. Come coniugare finzione e documentazione?
Semplice, spiega l’autore. “Viaggio e mi documento per mentire con cognizione di causa”. Lasciandosi ispirare da sapori, odori, paesaggi, persone, l’autore si documenta in completa libertà, e sempre liberamente fa poi uso di quanto appreso. Non si pone come un etnologo o come chi deve scrivere un saggio. “Nel romanzo c’è una realtà fatta di menzogne”. Ma sono menzogne che illuminano e il lettore, leggendo, coglierà sfumature della realtà che non avrebbe altrimenti potuto vedere, sottigliezze. E di queste scoperte è fatta la verità che l’autore vuole rivelare. “Esploro sempre i luoghi dei personaggi che voglio inventare”, confessa l’autore, “e sono finte ricchissima di materiale per l’ispirazione.” Riguardo il Congo poi aggiunge: pensavo di conoscere, in quanto sudamericano, la guerra e la violenza, ma in Congo ho capito che non avevo ancora visto tutto, “nunca he visto una miseria igual”.
Allora poi si giunge al dunque: quando la bugia dell’autore si fa cattiva fede, non è credibile, risulta menzogna sgradevole nei confronti del lettore?
Vargas Llosa azzarda: “Mai, ogni buona letteratura contiene in sé un concetto di realtà diverso. In “Guerra e Pace” c’è poco di storico, la storia è alterata, ma l’amore e la guerra sono quelli, la vita che viene svelata è quella. Tutti i buoni romanzi dicono la verità. Nessun uomo si trasforma in scarafaggio, ma quando Kafka ce lo racconta noi ci crediamo”.
Ancora una volta Vargas Llosa appare come un inguaribile ottimista, fermamente convinto del potere della Letteratura e della Parola, del suo potere liberatorio, dell’anarchia che spinge l’autore verso l’invenzione, del ruolo quasi divino di ogni autore che crea il suo mondo.
Rimango affascinata da ogni parola di quell’anziano distinto che parla in spagnolo di fronte a me. Che poi, documentarsi per “cercare ciò che si vuole inventare” non è forse un meraviglioso paradosso? E il desiderio primordiale dell’uomo di essere gli altri e di uscire da sé non è forse lo stesso che spinge a fare l’amore? I pensieri si incatenano, prendo carta e penna per fermarli a margine degli appunti sulla conferenza. E comunque agli “scarafaggi” che ha inventato Vargas Llosa, alle mentiras per cui si è meticolosamente documentato, io ci ho creduto.