Tosca tra passione e fede
“Tosca è un buon falco”. E’ con questa espressione che il Barone Scarpia, capo della polizia del Papa-Re, nel secondo atto di Tosca, opera lirica di Giacomo Puccini, descrive la protagonista.
“Tosca è un buon falco” : nulla sfugge ad una donna gelosa e, mentre la donna corre verso il nido d’amore per scovare l’infedele amante, il perfido Scarpia gode per la vittoria nei confronti dell’antagonista. L’amore e la gelosia saranno trappola per smascherare i ribelli.
La diabolica malvagità coesiste con una devozione e una pratica religiosa tanto ipocrita quanto sacrilega
Sullo sfondo di una splendida Roma in una notte di primavera incupita dalla tirannide e dall’ ipocrisia di un papato che antepone il potere temporale a quello ecclesiastico, Giacomo Puccini manovra i suoi tre protagonisti sviluppando un dramma di amore, gelosia, ideali politici e abuso di potere sullo sfondo di una religiosità bigotta e poco pietosa.
La scena del primo atto si svolge in chiesa. Puccini e i suoi librettisti, Illica e Giacosa, quasi giocano a dissacrare il luogo per sottolineare l’ipocrisia di un papato che dietro il rito del Te deum trama vendette.
L’unirsi di Scarpia al coro sacro, dopo aver chiarito a se stesso il modo di eliminare un pericoloso sovversivo, e di sedurre Tosca, rappresenta una contrapposizione poiché la diabolica malvagità coesiste con una devozione e una pratica religiosa tanto ipocrita quanto sacrilega.
Lo stesso sagrestano sopporta appena la presenza del libertino pittore che definisce addirittura «Satana» e diventa un servile collaboratore del capo della Polizia. Non è un caso che il “console della spenta Repubblica Romana” Cesare Angelotti si rifugia in chiesa e Mario Cavaradossi dipinge una Maddalena con sembianze di donna reale.
Un dramma di amore, gelosia, ideali politici e abuso di potere sullo sfondo di una religiosità bigotta e poco pietosa.
Il primo duetto d’amore tra la protagonista e il tenore si svolge ai piedi dell’altare di Sant’Andrea della Valle ed è lì che il Barone Scarpia, dopo aver svolto il rito di segnarsi con l’acqua benedetta, incontra Floria Tosca. In un alternarsi di passione e sospetti il luogo sacro si trasforma in un palcoscenico di amore e inganni.
Scarpia incarna il potere: egli è un uomo potente e finemente subdolo, ma sicuramente ammaliato da una donna bella e irraggiungibile. In certi momenti dell’opera il lirismo ha il predominio sull’odio: “darei la vita per asciugar quel pianto!” desidera fortemente stringerla fra le braccia e già assapora il gusto di una conquista “violenta”, estorta con l’inganno, ma tanto passionale.
Tosca giunge a palazzo pronta a cedere per “amor del suo Mario” e quando arriva il momento di soggiacere alle pressanti richieste di Scarpia si rifugia nella preghiera. Il tempo dell’azione si fissa e come un fermo immagine. Giacomo Puccini introduce la romanza più famosa dell’opera “Vissi d’arte”.
Anche in questa romanza il compositore alterna laicità e religiosità. Tosca è un’artista e come tale stigmatizzata dal comune senso del pudore come una donna libera dagli schemi di perbenismo, vive da concubina con il suo Mario ma nel momento più drammatico della sua vita si rivolge al Signore, ricordandogli che ha sempre pregato e offerto “fiori all’altar” e “gioielli alla Madonna al Manto”. Questa preghiera laica dà la forza fisica e morale a Tosca per compiere il delitto. Alla fine del secondo atto Scarpia è in terra pugnalato da una mano femminile .
“O Scarpia davanti a Dio” la protagonista nel suo gesto estremo rimanda ad un giudizio trascendente per gli atti compiuti in terra.
Il rito religioso si compie anche nella scena della morte dell’aguzzino: Tosca prima di fuggire pentita, prende due candele e le colloca alla destra e alla sinistra del corpo inerme di Scarpia, infine stacca un Crocifisso dalla parete e religiosamente si inginocchia per posarlo sul petto del carnefice, estremo gesto di pietà nei confronti della morte. Un gesto religioso dopo un omicidio .
Muoiono tutti e tre i protagonisti, quasi a significare l’eterno dualismo amore/morte.
Anche nelle ultime parole pronunciate da Tosca viene rimarcato il pregnante senso religioso che pervade l’intero libretto dell’opera “O Scarpia davanti a Dio!”. La protagonista nel suo gesto estremo rimanda ad un giudizio trascendente per gli atti compiuti in terra.
Ma parlare di Tosca non significa fare solamente una riflessione sull’esperienza religiosa di Giacomo Puccini.
Credo che il compositore abbia scelto di musicare il romanzo di Sardou per potere esprimere la sua vena musicale con sfumature veriste e decadenti. Regalando alla musica e i suoi storici interpreti una rilevanza fondamentale.
E mentre scrivo di Tosca mi risuonano le tante rappresentazioni ascoltate. La prima, mitica, con la divina Maria Callas in un frammento televisivo in bianco e nero con uno Scarpia d’eccezione, Tito Gobbi, il baritono che per decenni ha impersonato, con il suo naso aquilino e lo sguardo pungente, il capo della polizia papale. Oppure il maestoso Alberto Mastromarino, un Barone passionale in una produzione all’Arena di Verona, dove lo spettacolare Te deum rapiva lo spettatore. E ancora l’altero Renato Bruson: al suo ingresso in scena taceva la “cantoria”, e l’intera platea, letteralmente rapiti dal suo incedere signorile. Tra tutte le protagoniste che ho potuto ammirare credo che abbia un posto d’onore Raina Kabaivanska, la regina, l’artista. Delinea un personaggio completo in tutte le sfumature, elegante e raffinata entra in scena tenendo tra le braccia un fascio di rose.
Credo che il compositore abbia scelto di musicare il romanzo di Sardou per potere esprimere la sua vena musicale con sfumature veriste e decadenti
Non è un caso che la musica di Puccini e gli interpreti che hanno personificato i suoi personaggi hanno collocato l’opera “Tosca” tra le opere più amate e rappresentate nel panorama musicale mondiale.