Al cospetto di una gnocca
La pasta l’ho fatta fuori. La pausa pranzo sarebbe tecnicamente finita, ma non mi va ancora di tornare al lavoro. Leggo un quotidiano, seguo distrattamente il solito cazzeggio di varia umanità da social attraverso il monitor del mio smartphone, con la mente accesa a metà. La cosa che conta, in questa ennesima calda giornata di (presunta) fine estate, è godersi ogni singolo soffio di fresco vitale che promana dal climatizzatore che ho proprio di fronte. Si è fatto tardi, sarà per questo che c’è un silenzio insolito, in una trattoria ad ora di pranzo.
La voce della cameriera mi distoglie dal mio iper-uranio mentale che tento disperatamente di mantenere così, pieno di nulla, e mi riporta lì dentro. Mi ricorda che non sono steso sul divano coi piedi in aria, pronto alla pennichella post-prandiale, ma in un luogo dove non ho più ragione di rimanere, a parte il fresco. La sento tentar di comunicare con qualcuno, in un inglese improbabile. Mi giro, la scorgo: è una ragazzona simpatica e robusta, la prospettiva non mi consente di vedere bene con chi tenta di parlare. Ma c’è una vocina dentro la mia testa che mi dice che devo guardare meglio. Allungo la testa, sposto il busto quanto basta per avere una prospettiva più ampia.
La vedo.
Non sarà quella famosa della via di Damasco, ma, nel suo piccolo, la folgorazione che mi prende in pieno è niente male. Non è un avventore come un altro, non è un turista qualunque che cerca di farsi capire; non è neppure una giovane donna più o meno piacente, come capita di incontrarne diverse, ogni giorno, per strada, al bar, in metro. No. Quella che i miei occhi hanno appena incrociato è una Dea. Venere sbucata direttamente dalle onde, o forse una delle Sirene per le quali Ulisse si faceva incatenare. Il mio torpore protesta: voleva essere lasciato in pace e invece ora deve fare i conti con questo imprevisto elemento di disturbo. La metà di cervello che giaceva tranquillamente in stand by ha rimesso in funzione i circuiti, si riattivano le sinapsi, si avverte improvvisa la necessità di saperne di più.
Mi allungo ancora un po’, guardo meglio. Sembra Brasiliana, quasi certamente è Sudamericana. Intuisco che tentano di spiegarsi, senza troppa fortuna, su un condimento.
“Mushrooms. She means there are mushrooms in the salad.”
Sollevo così la cameriera dall’impaccio di spiegare che sono funghi quelli che stava tentando di indicarle, ricevo infatti il suo sorriso di gratitudine.
la ragazza sa perfettamente di non passare inosservata agli occhi maschili e sa anche cosa pensano gli uomini quando la vedono. Appunto: cosa pensano gli uomini?
Appunto: cosa pensano gli uomini? E io, in quanto appartenente alla categoria, a quale legge non scritta finisco col soggiacere, se ve ne è una? Siamo certi che tutto abbia a che fare con la solita vecchia storia? Si, proprio quella: attrazione, istinto, il richiamo della foresta, insomma, quella roba lì, gli ormoni che stanno in circolo, sembra che dormano e invece si svegliano all’improvviso, quello che Max Gazzè chiama il solito sesso.
O magari è anche un habitus mentale, il riflesso di consuetudini consolidate, la sedimentazione di comportamenti individuali e sociali reiterati da troppo tempo? Rido. Penso ai commenti che avrebbero fatto i miei amici, o almeno una buona parte di essi, di fronte a quella visione a metà tra un angelo e Satana, nella mia stessa situazione. Forse a qualcuno sarebbe importato poco, ma si sarebbe sentito in obbligo di ostentare un po’ di sana -verbale- virilità maschile. Con picchi di goliardia e di maschilissime risate alle maschilissime battute da spogliatoio che ne sarebbero scaturite. Con la differenza che un tempo, diciamo da ragazzini o da molto giovani, quelle battute, pur essendo letteralmente molto volgari, avevano una loro intrinseca purezza. Facevano quasi tenerezza, a volte. Dai quaranta in su, invece, gli apprezzamenti o le boutades al cospetto di una gnocca da parte di un gruppo di uomini sono forse esteriormente meno spinte, ma hanno un non so che di più sotterraneamente volgare, di stonato.
Intanto, cerco di guardarla meglio. Senza farmi sgamare, si intende, la squadro dalla testa ai piedi, per quanto la distanza visiva mi consenta, prendendo nota dei dettagli evidenti e di quelli meno evidenti. Ha capelli lunghi neri, viso dai lineamenti dolci, delicati, quasi timidi, che formano un contrasto pressoché irresistibile con uno sguardo invece molto deciso e sicuro; carnagione olivastra, occhi scuri, dalla mia posizione non riesco a distinguere la esatta tonalità. Ha un abbigliamento di tono casual ma di classe, di sicuro ha una gonna lunga colorata in tessuto leggero e una camicia a righe sottili, a bottoni. Chiusi, quanto basta per non mostrare troppo; aperti, almeno fino al terzo partendo da sopra, quanto basta per mostrare forme generose che la fanciulla, sapientemente, non ostenta ma lascia intuire senza bisogno di fantasie visionarie o sguardi fantozzianamente sbavanti.
Cosa mi frega se indossa un perizoma, uno slip classico o… niente? Cosa mi frega di quando lo ha fatto l’ultima volta, come, con chi, se le è piaciuto, se ha fatto impazzire il suo compagno, se sarà brava a letto o meno?
Sorseggio il caffè. Con la coda dell’occhio che finisce col cercarla, ancora. Perché la guardo e mi soffermo su certi particolari? E perché finisco col farmi domande e fantasie delle quali, tutto sommato, potrei fare benissimo a meno? Cosa mi frega se indossa un perizoma, uno slip classico o… niente? Cosa mi frega di quando lo ha fatto l’ultima volta, come, con chi, se le è piaciuto, se ha fatto impazzire il suo compagno, se sarà brava a letto o meno? Mentre, da una parte, mi arriva un pensiero che mi dice, più o meno, va a lavorare vecchio maniaco, che tanto in questo momento sei stanco e svogliato e nemmeno una così ti farebbe smuovere, dall’altra continuano ad affacciarsi domande pruriginose: magari ha finito di farlo proprio poco fa, nel suo albergo, con l’addetto ai bagagli o col tassista che l’ha portata lì, dopo la colazione e prima del pranzo, ed è per questo che ha lo sguardo così sicuro, sornione, soddisfatto.
La guardo, sempre con discrezione. Ma sono certo che si è innescato quello strano meccanismo per il quale entrambi sappiamo che ci stiamo osservando e nessuno dei due vuol farlo notare all’altro. Ma mentre i miei, in buona parte, sono biechi e sordidi pensieri a sfondo crudamente sessuale, sono certo che la sua è semplice curiosità. Magari vanità, la verifica ennesima dei tempi di reazione di un maschio al suo indiscutibile sex appeal. Questo sospetto mi irrita impercettibilmente, ma in fondo, perché dovrebbe interessarmi?
Non ho bisogno di lei. Neanche della botta e via. Ho bisogno della mia lei, non di lei. E ho bisogno di sesso fatto come dico io, non purché sia
Non ho bisogno di lei. Neanche della botta e via. Ho bisogno della mia lei, non di lei. E ho bisogno di sesso fatto come dico io, non purché sia.
Mi alzo. Prendo il mio smartphone, il mio libro, faccio movimenti volutamente lenti. Le passo davanti, le sorrido, mi sorride, ne approfitto per squadrarla ancora meglio. Accidenti, da vicino noto che i bottoni sopra il seno stanno proprio sul punto di esplodere. Quarta abbondante, forse quinta. Bellezza latina, davvero da lasciare senza fiato. Non dico una parola, lo stesso fa lei. Vado alla cassa, chiedo il conto, pago. La riguardo, sorrido, stavolta in un impercettibile frazione di secondo vedo che è lei ad allungare il collo. Non l’ho rimorchiata, non ho provato nemmeno a parlarle, nessun attacco classico, come ti chiami, quanti anni hai, da dove vieni, ti piace questa città, ci sei su Facebook? Niente di niente. Spero che la sua autostima non ne risenta troppo. Però che insensibile che sono: e se quella povera ragazza mi va in crisi? E se mi finisce in analisi? Quasi quasi torno a cercarla per chiarirle che non è nulla di personale, lei è bellissima però…