Mattinale (la piccola bellezza)
Oggi vorrei buttare giù due parole per voi che, come ogni mattina, avete acceso il computer, inserito la password del PC e aperto il software aziendale. Oppure voi che leggerete soltanto stasera, con le mani ancora sporche di morchia. Un paio d’anni fa chi vi scrive si trovava a Malta e non se la passava tanto bene. Paese che vai, lavoro che non trovi. O che trovi, ma sarebbe meglio non trovare. Come a Malta, appunto. Montavo alle sei di mattina e smontavo alle cinque pomeridiane. Undici fottute ore a pulire l’albergo dalle impronte di sandali tedeschi, tacchi italiani, bicchieri di birra inglesi. Allora succede che un mattino verso le sette, un lunedì tra le altre cose, mi accingo a lavare il ristorante. Un salone immenso con un pavimento lucido dove non avreste problemi a ritrovare quel granellino di sabbia della Golden bay a cui tenevate tanto e che vi è caduto mentre desinavate nel pessimo ristorante dell’Hotel. La tristezza si infonde nel mio animo, il salone diventa tetro e immenso, un senso di depressione rallenta le mie ramazzate sul pavimento. Quindi mi fermo, scarico il peso sulla scopa, le mani giunte sul manico e la testa sulle mani. “Per quale ragione un ristorante deve avere un pavimento del genere?” penso mentre osservo la mia immagine riflessa nelle piastrelle. Noto due piccole macchie dove avevo già pulito. Forse dovrei sbuffare e arrabbiarmi e bestemmiare e maledire quest’isola, invece il mio subconscio ha voglia di giocare, mi spinge a posizionare la testa in modo che il riflesso di questa si sovrapponga alle due macchioline sul pavimento: eccole lì, piantate in mezzo al volto come fossero i miei occhi. Già, gli occhi di un triste housekeeper che agli scherzi del subconscio non vuole dare seguito. E’ allora che dalla vicina hall una musica si profonde fino al salone del ristorante. La solita stupida Chill-out fatta a computer, penso. Drizzo le orecchie. Non è Chill-out, è “Blue moon” nella versione di Glenn Miller! Non ci posso credere. Mi affaccio verso la reception, ma non vedo e, conoscendo coloro che dimorano dietro quella scrivania, non posso nemmeno immaginare chi possa avere tanto gusto, chi mi abbia regalato questa piccola bellezza in una mattina tanto desolata. Ma non importa, ritorno al mio salone, al mio pavimento che ormai non fa più parte di quel tetro ristorante ma è la prua di una nave. E io, giovane mozzo, danzo con un manico di scopa mentre una luna blu scaccia la tristezza dalle mie membra. Buon lavoro. C’è di peggio. Sempre.