Le mani di mio padre
Quando parlate con una persona cosa guardate? Gli occhi? Certamente osservando lo sguardo del vostro interlocutore si può capire tanto. Anche io lo faccio, ma mi soffermo anche su un’altra parte del corpo: le mani. Sono sempre stata attratta dalle mani, sin da piccola. Le mani rugose e macchiate di una persona anziana, quelle delicate ed esili di una ragazza oppure quelle paffutelle e cicciottose dei bambini. Le mani sanno spiegare che tipo di persona abbiamo difronte.
Possono essere più eloquenti delle parole molte volte. In effetti, se ci pensate bene, noi italiani e specialmente noi napoletani, siamo campioni in questo. Con le mani parliamo ancor più che con la voce, tanto che un geniale scrittore, Bruno Munari, ne ha fatto un supplemento al dizionario italiano intitolato Speak Italian, che è una vera e propria guida all’interpretazione dei gesti.
Con le mani salutiamo, preghiamo, mangiamo, proteggiamo, insegniamo, discutiamo, esultiamo, stringiamo, festeggiamo, applaudiamo, amiamo e odiamo. Un’infinità di sensazioni e emozioni attraversano le cinque dita che formano una mano.
Ci sono mani che ci accompagnano per tutta la vita, come quelle di un padre. Il mio papà ha le mani grandi, protettive e calde.
Sfiora come sai fare tu la mia vita, lasciando le mie mani per affidarle all’uomo che mi accompagnerà nel futuro come hai fatto tu, ma continua a toccare delicatamente il mio domani, senza allontanare mai troppo le tue mani dalle mie.
Le sue mani hanno accudito una mamma malata, hanno cresciuto 4 figli e 7 nipoti (per il momento!), amano la stessa donna da tutta la vita. Ancora oggi sanno riscaldarmi quando ho freddo, rassicurarmi quando ho paura, confortarmi quando sono preoccupata e rendermi ancor più felice quando già lo sono. Mi accompagnano in ogni mia vittoria o in ogni mia sconfitta. Sono le mani che mi hanno plasmata e mi hanno reso la donna che sono oggi.
Mani della creazione. Come nell’opera Mano di Dio del francese Auguste Rodin (1849 – 1917). In un’epoca in cui domina la scultura perfetta e rifinita, Rodin utilizza invece il “non finito”. Come Michelangelo, da cui trae molta ispirazione, non termina le sue opere ma le lascia scolpite solo in parte. La sensazione è sempre quella che le figure da lui create siano in qualche modo imprigionate nel marmo. La rivoluzione che ha provocato nella scultura è quasi paragonabile a quella dell’impressionismo in pittura.
Rodin aveva un sorta di ossessione per le mani. Quando scolpisce nel marmo la Mano di Dio (1898; 36 x 80 x 58 cm; Musée Rodin; Parigi), lo scultore fonde le forme levigate e perfette di Adamo ed Eva nel marmo rugoso che rappresenta la materia primordiale: le mani energiche di Dio mostrano il momento sacro della creazione. I due corpi sono molto piccoli rispetto alla mano che li plasma, questo per rappresentare la fragilità degli esseri umani rispetto alla volontà di Dio. Dalla massa informe della pietra, dal caos delle origini, una mano diventa culla di un uomo e una donna, che fa nascere e protegge, che crea e custodisce, sostiene.
Proprio come le tue mani hanno fatto con me papà. Stringimi ancora con le tue forti mani e indicami la strada da percorrere. Continua a non giudicarmi per i miei errori e accarezza i miei traguardi. Sfiora come sai fare tu la mia vita, lasciando le mie mani per affidarle all’uomo che mi accompagnerà nel futuro come hai fatto tu, ma continua a toccare delicatamente il mio domani, senza allontanare mai troppo le tue mani dalle mie.