Certe Notti
In questi giorni, vent’anni fa, le radio iniziavano a diffondere la voce inconfondibile di Luciano Ligabue, sulle note di quella che probabilmente tutt’oggi rimane la sua canzone più celebre, oltre che un classico della musica leggera italiana di sempre: Certe Notti. Mi ci ha fatto pensare il link di un’amica su Facebook l’altro giorno. Altrimenti oggi, in questa mia rubrica, vi starei tediando con qualcos’altro, forse un racconto. Ma vedete, al di là del fatto che piaccia o meno il cantante o il personaggio Ligabue, cosa naturalmente soggettiva, come tutto ciò che ha a che fare con l’Arte e con le emozioni che essa suscita, al di là del fatto che piaccia o meno la canzone stessa, a me sembra che Certe Notti non sia una canzone qualunque. E che quindi, non possa non essere adeguatamente celebrata, nel ventennale dall’uscita, quando, non a caso, continua ad essere tra i pezzi più trasmessi, ascoltati, richiesti, cantati nei concerti, nei pub, ma anche nei karaoke di provincia. Non solo un pezzo divenuto un classico musicale, ma un pezzo di costume. Un pezzo di società, l’istantanea di una generazione. Il concentrato più efficace per raccontare in meno di quattro minuti la malinconia, l’inquietudine, la perenne insoddisfazione e al contempo la voglia di vivere di un’epoca. Sullo sfondo, sempre presente in Ligabue, un’infinita, viscerale, intensa passione per la vita e l’ansia di esorcizzare la morte, il tempo che passa, la ricerca frenetica e a tratti disperata di certezze che non ci sono.
Tutto troppo stretto o troppo largo, certe notti. L’ansia di appartenenza, mista all’ansia di libertà. L’ansia di avere nessuna ansia. Oblio totale, abbandono. Le notti in cui realizzi d’improvviso che buffo che è essere figli di questo strano tempo, figli del carpe diem. Divorati dall’angoscia di afferrare tutto quello che si può, qui e ora. L’attimo fuggente, che ad inseguirlo sempre, fugge davvero. Figli di un tempo in cui del doman non c’è certezza. Bulimici di emozioni. Non basta mai. Ancora e ancora. L’ansia di rincorrere momenti come fossero gli ultimi. Il momento eterno.
Divorati dall’angoscia di afferrare tutto quello che si può, qui e ora. L’attimo fuggente, che ad inseguirlo sempre, fugge davvero
Certe Notti parla di me, di te, di un noi collettivo, che c’era nel 1995, quando venne incisa, come c’è ancora oggi, nel 2015. Ed è per questo che a me sembra una delle canzoni più amate dai padri ma anche dai figli. Non ho mai capito se davvero Neil Young avesse capito chi ero, forse il Liga ne sa un po’ di più. Io di sicuro no. Certe notti la strada non conta, quello che conta è sentire che vai solo per una mera casualità l’ha scritta lui: sarà arrivato prima, altrimenti l’avrei scritta io. Anche di ferite e di qualche amica che le disinfetti, beh, parliamone.
Se sei fortunato bussi alla porta di chi è come te. Non ho però mai avuto modo di chiedere a Luciano: e se quando bussi, certe notti, non ti apre nessuno?
E poi la frase che forse contiene tutto il senso di chi ama la notte: certe notti ti senti padrone di un posto che tanto di giorno non c’è.
Insomma, in qualche modo, il manifesto di coloro che amano e vivono la notte. Che è una parte della giornata ma anche un modo di essere, di vivere, la ricerca, la fuga. Recenti studi pare dimostrino che i tipi notturni sono più inclini alla depressione, al consumo di farmaci e all’insonnia. In compenso, però sono migliori nel ragionare, più produttivi, più ricchi, e hanno maggiore successo professionale. Purché dormano a sufficienza, conta insomma quanto dormono non quando.
Sarà vero? Non so. Io so solo che siamo in tanti quelli che amano da sempre la notte. Anche da adulti, eh, chi lo dice che la notte è solo dei ragazzi. Che noia con sta’ storia che devi limitarti nelle cose che ti piacciono perché fanno male, per esempio star svegli la notte. D’altra parte, ci sarà un motivo per cui di notte tendiamo ad essere più lucidi, forse più malinconici e sicuramente molto più autentici. E ci sarà un motivo pure se sono in tanti oltre al Liga, artisti e cantautori, che hanno celebrato la notte, quelli che con le dita stanno acchiappando note che cadono giù dal paradiso, come canta Claudio Baglioni nella dolce Notte di note, note di notte.
È di notte che Battisti e Mogol, in Emozioni, capolavoro assoluto, guidano a fari spenti per vedere se è così difficile morire. Nel mio piccolo, fu di notte che io, non a fari spenti ma a occhi chiusi in autostrada, cercai di verificare personalmente se era davvero così difficile morire. Compresi che in effetti era difficile. Ma anche no: bastava appena un tanto così e…
Fu di notte, che ascoltai mille volte Notte prima degli esami a casa del mio amico Gianluca, uno che studiava meno di me. Era, appunto, la notte prima della maturità, una notte complicata, per antonomasia. Io mi ricordo quattro ragazzi con la chitarra, Claudia che non doveva tremare, cosce chiuse come le chiese quando ti vuoi confessare, non so se fosse una notte di sogni e di campioni, ma fare Kant ed Hegel e un intero programma di Filosofia e Storia in una notte sola era obiettivamente complicato.
che avremo avuto da dirci, poi, se tanto, certe notti sei solo più allegro, più ingordo, più ingenuo e coglione che puoi??
Non sarà un caso se molti dei miei ricordi più nitidi hanno i colori della notte. Fu di notte che feci la prima volta l’amore, fu di notte che morì mia madre e un po’ di me con lei, fu di notte che presi alcune delle decisioni più importanti della mia vita.
Era di notte, per notti e notti, ore e ore, anni e anni, che andavamo in giro o restavamo in macchina con amici e amiche a parlare fino all’alba: ma che avremo avuto da dirci, poi, se tanto, certe notti sei solo più allegro, più ingordo, più ingenuo e coglione che puoi??