I giovani non ballano i Doors
Il mio mare ha di bello che ancora oggi, passati tanti anni da quando tutto era selvaggio, qui è la natura che ha ragione. Ha ragione sui numeri senz’altro aumentati del turismo, sulle case cresciute come funghi dove prima c’era la macchia bruciata, sui locali della spiaggia che riempiono il silenzio dei grilli di pulsazioni sincopate.
La natura qui ha ragione col vento che sospinge veloce le vele e strapazza i capelli, che fa volare tutto ciò che è leggero. Ha ragione coi cormorani che sono i tuoi unici compagni alla mattina presto, quando vai a nuotare e il popolo delle feste in spiaggia ancora dorme. Coi delfini che entrano in coppia nella baia, a mezzogiorno, come fossero invitati a colazione da qualche diportista fermo in rada. Ha ragione coi graniti lisciati dai marosi fino a sembrare sculture di Henry Moore, col profumo del mirto e l’elicriso che ti accarezzano quando passi le dune di sabbia verso il mare. Coi sentieri che terminano sulle rocce davanti all’azzurro, mentre tu credevi portassero più lontano, e così ti insegnano che qui i luoghi possono essere ancora inaccessibili. Ha ragione con le mucche bianche e ossute che pascolano prati secchi di sterpi, e poggiano il mento sui muri a pietra guardando lontano come a cercare verdi più succosi, con lo sguardo tenero che ha l’umanità migliore, e l’altra non ha più.
Sono i panorami che innamorarono Faber fino a farlo trasferire qua, su in alto tra monti dove la natura granitica del suolo si fa pian piano meno assoluta, e le piante trovano nutrimenti più ricchi nella terra, così che la tamerice, il corbezzolo, il ginepro diradano per far posto al noce, al sughero, al castagno. Ma se ti metti sul punto più alto del tuo terreno e allarghi la vista, in fondo vedrai sempre mare e isole, isole, e mare.
Questo mare custodisce tante storie importanti: i maestri della parola, numerosi, a cui questa terra ha dato i natali ne hanno scritto magistralmente, e ne scrivono, amplificando l’emozione di vivere questi luoghi, tramandandocene l’anima irrequieta e dura. Cosa puoi aggiungere a questo patrimonio di storie, tu che vieni qui a rubare le fugaci impressioni dell’estate. Tu puoi scrivere forse solo di quelle. Di fugaci impressioni. Di precarie immagini. Di momenti. Ma ce ne sono alcuni, che valgono il ricordo. Sono come istantanee di un piccolo mondo dell’estate, forse fatuo, forse no. Perché questo mio mare è fatto un po’ a modo suo. E’ un mare un po’ anticonformista, legato ai venti e agli sport che ne fanno uso, praticati da molti stranieri.
Un mare che sta chiuso e inaccessibile ai mezzi dietro alte dune, e inanella tre baie di cui due profonde che finiscono quasi in un fiordo e una piatta che si stringe ad un’estremita’ in un istmo, l’Isola dei Gabbiani. Ha lo stesso nome del romanzo di Astrid Lindgren che mi appassionava da bambina, e che raccontava la storia di un padre che porta i propri figli a trascorrere le vacanze sull’isola selvaggia di Saltkräkan, in Svezia.
Un po’ come io porto mia figlia qui sin da piccola, in questo posto che in gioventù conobbi selvatico e apparentemente così lontano dai luoghi dei ricchi e degli eleganti, pure tanto vicini. Questo luogo dove da decenni trovi sempre la stessa gente, la reincontri ogni estate qui senza che tu ti sia dato appuntamento. E’ scontato salutarsi come se non ci dovessimo rivedere mai più, ma poi riessere qui per quel mese, fare la stessa vita, incontrarsi tutti i giorni, andare a cena insieme nei locali preferiti, prendere l’aperitivo serale al Beach Bar guardando l’orizzonte caricarsi delle luci del tramonto, i kiter come veri aquiloni guizzare nel cielo, i surfer sfrecciare e planare nei flutti del maestrale, o l’acqua farsi immota come uno specchio per le isole sparse nella baia, con i faraglioni della Corsica a sembrare il continente, mentre anche lei è un’ isola e sta lì proprio davanti, con le case bianche di Bonifacio che riesci quasi a vedere quando il cielo è estremamente terso.
Ma a proposito di istantanee di un’estate, se devo lasciare qui la mia istantanea dell’estate di quest’anno, mi viene in mente quella sera giù al Beach Bar che sempre fa festa una volta alla settimana e si popola di gente che viene a sentire musica e a ballare.
Gente ancora in abito da spiaggia, gente che ha cenato lì grigliando carne e bevendo Cannonau, intere famiglie, coi figli, i nonni, gli amici portati dalla città, gli amici di qui. I giovani accorsi dalle baie limitrofe, gli sportivi scesi dalle loro tavole. I bambini coi vestiti bianchi di garza comprati sulla spiaggia, l’attentissimo bagnino-geologo a fine turno che si gode la serata con la fidanzata in compagnia di una birretta e un po’ di musica. Amo di queste feste il pubblico eterogeneo, e tutti che ballano, dai più piccolini a gruppi o con i genitori, alle coppie di sportivi ormai ultra-cinquantenni e ancora in gran forma che vengono qui da sempre e magari qui si sono conosciuti e amati, agli adolescenti coi primi amori, i primi abiti sensuali.
Ma nella mia istantanea del Beach Bar quella sera non balla quasi nessuno.
Ma nella mia istantanea del Beach Bar quella sera non balla quasi nessuno. Che strano. Ballano i bambini di tre anni in un girotondo, sulla sabbia. Muove le anche in modo sinuoso un’avvenente madre tra i trenta e i quaranta, appoggiata a uno dei piloni di legno che regge il loggiato, sorridendo mentre guarda le proprie figlie, fiera di loro che si rimpiattano tra le gambe degli astanti. I più grandi aspettano l’onda dei giovani: quando loro inizieranno a ballare anche noi, i più agé, ci scateneremo, perché qui siamo liberi, qui osiamo dimenticare tutto, ruoli, inibizioni, freni.
Ma i giovani quella sera non ballano. Eppure la musica è ottima. Al posto del Dj set con i vocalist che ripropongono i pezzi più noti e amati delle chart internazionali ci sono due musicisti con chitarra acustica e tastiera. Il tastierista e’ anche un cantante e uno davvero bravo, con la voce pastosa e graffiata si può permettere i pezzi storici del Boss, dei Jefferson Airplane, il primo Vasco, gli U2.
Ad un certo punto vedendo che la gente ascolta ma non balla, il cantante dice: qui è il caso di osare, oserò. Proverò ad accendere il vostro fuoco con il pezzo dei pezzi! Mi butto, tento il tutto per tutto, non sarò all’altezza di certo ma la voglia di farlo è tanta….. ed attacca Light my Fire dei Doors, eseguendolo davvero alla grande.
Con buona pace di Jim becca l’ottava giusta e nell’assolo alle tastiere non manca una nota. Bello davvero, bravo.
Noi che con Jim ci siamo cresciuti siamo lì frementi, guardiamo i giovani, attendiamo che qualcuno si getti ancheggiando nel cuore di quelle sonorità. Attendiamo che il fuoco si accenda, in noi già brucia ed è solo per quel pudore dell’età che non precediamo i figli adolescenti al centro della pista per un ballo informale e serpeggiante come quello della fiamma.
Ma niente, quella sera nessuno si muove.
I giovani non ballano i Doors.