L’ultimo sole, l’ultimo sangue
Il sole, sopra di me.
È l’ultimo sole che riscalderà la mia pelle. Lo so, lo sento. Lo fiuto nell’aria, nel brivido di eccitazione che percorre l’arena, stracolma di umani che vogliono veder scorrere il sangue. Il mio sangue.
Lo avverto nelle urla di incitamento a quell’uomo variopinto che sventola un drappo qui davanti a me. Vuole provocarmi, ma per quale motivo? Cosa gli ho fatto? Non mi hanno fatto già male abbastanza, lui e i suoi simili?
Perché?
Perché siamo qui, ora, sotto un sole che acceca e di cui mai come ora amo il calore che cerca di lenire le mie ferite? Magari le aiuterà a richiudersi, accetterei anche le cicatrici pur di far cessare questa agonia.
Sono stato ferito, torturato, mutilato per ore, già prima di entrare qua dentro e ora ancora di più. Le mie forze stanno scemando, anche se gli umani ancora non lo sanno. Loro pensano sempre di avere davanti il possente toro dalla forza immensa e se riescono a ucciderlo da morto darà loro grande lustro e più fama e ricchezza che non da vivo.
Fin da piccolo ho sentito storie tremende. Giravano sottovoce nel vento, là nel pascolo, mentre tutti insieme ruminavamo fili d’erba verde e gustosa, sotto un sole grande e caldo come questo. Il sole di Spagna è così, si sta bene in sua compagnia, la vita è più bella.
Il sole di Spagna è così, si sta bene in sua compagnia, la vita è più bella.
Quando sentivo le storie di tori uccisi per puro divertimento fra mille sofferenze, non ci potevo credere. Non aveva senso! Gli umani ci trattavano abbastanza bene allora, vivevamo senza pensieri. Se non fosse stato per l’eco di quelle storie che il vento ci portava.
Poi un giorno è successo qualcosa. Hanno radunato noi giovani da una parte e hanno cominciato a stuzzicarci uno per uno con delle punte acuminate, ci hanno ferito, volevano vedere come reagivamo. E come vuoi reagire? Cosa avrebbero fatto gli umani al posto nostro? Certamente anche fra loro ci sarebbe stato chi si sarebbe messo a piangere, chi avrebbe reagito debolmente e chi si sarebbe incazzato di brutto, rispondendo con la forza alla violenza. Così è stato per noi.
Io ero uno di quelli che dopo il primo stupore si era molto arrabbiato. Mi ero avventato contro quel piccolo umano che mi agitava una mantella davanti agli occhi. E prima ancora mi ero avventato contro i cavalli che trasportavano altri umani con i pungoli. Dopo mi è dispiaciuto per i cavalli, non ce l’avevo con loro, ma la rabbia per l’ingiusto trattamento che subivamo mi ha offuscato mente e cuore.
Non sapevo ancora che proprio questa rabbia volevano gli umani; per questa rabbia mi hanno scelto e adesso sono qui. A replicare, in modo peggiore, quella provocazione di quando ero più giovane e inesperto. A sentire l’ultimo sole sulla pelle.
Nell’arena si sente un’unica voce, formata dalle tante voci degli umani. La percepisco nonostante mi abbiano tappato le orecchie. Così come avverto l’odore del mio sangue nonostante mi abbiano chiuso le narici. Così come vedo il sole nonostante la resina negli occhi.
Mi hanno torturato in mille modi per fare esplodere la rabbia che ho dentro, la rabbia che deriva prima di tutto dall’ingiustizia e poi dal dolore. Sono grande, sono forte, e in proporzione la mia rabbia è potente e pericolosa. Potrei uccidere. Io che vorrei solo brucare l’erba verde del pascolo in cui sono nato. Io che le mie corna le gratterei solo su un albero cercando anche di non esagerare per non danneggiarlo. Io che starei pigramente steso al sole cercando nel branco la mia futura compagna. Io potrei uccidere, con la rabbia che i piccoli umani fomentano insieme al dolore. Ho perfino l’impressione che sia questo che gli umani vogliono da me: vogliono che uccida il loro simile. Altrimenti perché incitarmi così tanto, perché farmi arrabbiare fino a farmi perdere il controllo?
Aste di ferro chiamate banderillas mi sono state conficcate nel corpo. Il sangue scorre da decine di fori scivolandomi addosso. Il dolore è pari alla furia mentre tutto intorno volano Olé incomprensibili: proprio non so cosa ci sia da festeggiare.
Finora ho avuto a che fare con gli umani a cavallo. Poveri cavalli. Avverto la vibrazione della loro paura. Vedo che alcuni sono bendati, che non possono nitrire perché non hanno voce e li sento fratelli. Ma ormai gli ho fatto male. Mi dispiace. Nella rabbia cieca destinata a tutti e nessuno loro sono stati le prime vittime delle incornate feroci con cui vorrei uccidere la causa di tanto dolore.
Mi sembra di ardere vivo tra il bruciare delle ferite e il fuoco del sole, quest’ultimo sole che mi vedrà lottare fino all’ultimo. Ho i muscoli lacerati dalle banderillas, fatico a stare in piedi e anche ad alzare la testa, le forze se ne stanno andando.
Ho davanti il piccolo umano con la mantella. È poco più di una pulce, potrei schiacciarlo e distruggerlo con la sola massa del corpo. Non dovrei nemmeno affannarmi a caricarlo, a trafiggerlo con le corna. Basterebbe schiacciarlo. Però lui ha in mano quei ferri acuminati che non vedono l’ora di trafiggermi il cuore. E io sono stanco.
Era tutto vero, dunque. Le storie portate dal vento là nei pascoli erano vere. Gli umani ci vogliono morti, eppure noi non gli abbiamo fatto nulla e niente vorremmo fargli.
Mentre guardo negli occhi questo umano, con il respiro sempre più pesante fra i denti, sento di nuovo in bocca il sapore dell’erba verde e del latte di mia madre, ascolto il rumore del mio piccolo galoppo di vitello ingenuo e felice, rivedo il cielo azzurro e lo splendido sole di Spagna. Non ci sarà più nulla di tutto questo per me.
È questo che vuoi umano.
Hai voluto la mia rabbia, ora vuoi la mia vita.
Sei sicuro che non sarò io a prendere la tua?
Guardami, umano.
Guarda come avete infierito su di me, guarda quello che avete fatto ai poveri cavalli, e quello che mi avete costretto a fare loro.
Guardami e chiediti se davvero ti senti orgoglioso di aver combattuto contro di me ad armi impari, io ferito, fiaccato, umiliato e tu aiutato dai tuoi amici armati; chiediti se sei fiero di aver sporcato questa terra di sangue; se gli Olé di umani insensati come te soddisfano davvero la tua boria.
Guardami e chiediti se non saremmo stati meglio, io e te, distesi sul pascolo, fianco a fianco, sotto un sole che non sarebbe stato l’ultimo per nessuno dei due.
Occhi negli occhi, umano.
Siamo io e te.
Non ti chiedo pietà, combatterò fino al mio ultimo respiro se è questo che vuoi. Però ti chiedo di guardare i miei occhi e il mio sangue. Una scelta è ancora possibile.
Sta a te, ora, alzare la spada o aprire quel cancello e uscire insieme a me. Fianco a fianco.
Decidi tu.
Il sole sta aspettando.