Cornetti e quadrifogli
Cornetti, ferri di cavallo, coccinelle e quadrifogli, ma anche oggetti in oro e indumenti rossi. Sono questi gli amuleti degli italiani scaramantici, i quali accompagnano quasi sempre i loro portafortuna a precisi rituali contro la mala sorte. Molti si chiedono come sia possibile, nel 2015, parlare ancora di scaramanzia e di talismani, eppure il fenomeno non accenna a diminuire.
Nel 2012 una ricerca pubblicata sul quotidiano La Stampa aveva confermato il concetto di irrazionalità cosciente. Alla domanda: perché compi questo rituale o tieni questo oggetto?, gli scaramantici avevano risposto: Non è vero, non ci credo, ma comunque non si sa mai. E’ questo non sapere che rende amuleti e riti propiziatori elementi marginali ma imprescindibili della vita di molte persone. Il retro pensiero è: so che potrei farne a meno, ma meglio non rischiare.
Una ritualità che in Italia si differenzia da regione a regione: al Sud prevalgono i cornetti e i ferri di cavallo, al Nord coccinelle e quadrifogli, mentre nelle zone centrali oggetti in oro e indumenti rossi. Ovunque la fortuna è propiziata anche da azioni, come incrociare le dita, toccare ferro o svolgere determinati gesti quotidiani in un certo ordine o con precise modalità. La questione non è circoscritta solo al gioco d’azzardo e alle gare sportive, ma in generale a tutte le prove della vita: dagli esami (scolastici o medici) alla riuscita lavorativa e alle relazioni interpersonali. Non sempre, poi, a portare fortuna sono i classici talismani: ognuno personalizza la propria scaramanzia e in genere l’oggetto o il rituale magico diventano tali dopo che una volta, magari anche in maniera del tutto casuale, sono stati associati a una vittoria o a un momento di felicità.
Ma perché anche persone molto pragmatiche e razionali si affidano alla scaramanzia? La risposta sta nel duplice volto di quest’ultima: da un lato la paura, dall’altro la speranza. Incanalare le nostre ansie su oggetti e azioni concrete ci illude di avere il controllo sull’incontrollabile e ci fa sperare nella buona riuscita, dandoci la carica positiva per affrontare le difficoltà.
La parola chiave è appunto controllo: la natura umana difficilmente accetta di non averlo. Prendiamo il caso di un esame universitario: non basterebbe studiare per essere sicuri di avere buoni risultati? Sicuramente quella è la prima, fondamentale, mossa, ma poi intervengono altre variabili che esulano dalla volontà dello studente. Che cosa ha in testa il prof? Si sarà forse fissato su un concetto non chiaro? Verranno fuori imprecisioni dettate dall’emozione o dalla mancanza di conoscenze pregresse sull’argomento? Si verrà interrogati dopo uno studente brillantissimo, sfigurando in confronto, nonostante la preparazione adeguata? Queste e altre circostanze generano angoscia e rendono quindi rassicurante il potere propiziatorio di amuleti e rituali.
La triste e liberatoria verità è che non potremo mai controllare tutto
Essere scaramantici non è un reato, né una vergogna: se limitati a determinate situazioni, riti e oggetti possono aiutare a migliorare le prestazioni, grazie alla maggiore fiducia che infondono. Altro significato assume invece la scaramanzia quando oltrepassa il confine del patologico: condurre una vita fatta di propiziazioni significa vivere da schiavi liberi. Esattamente come essere pessimisti per paura che “la sfiga senta” impedisce di vivere i singoli attimi di gioia.
La triste e liberatoria verità è che non potremo mai controllare tutto, perché il nostro futuro è una somma di circostanze in cui il fare personale rappresenta solo uno dei tanti addendi.