Da quando non si sviluppano più le foto
Da quando non si sviluppano più le foto è finito qualcosa, un interruttore ha fatto il suo dovere impostandosi su off. Che cosa non lo so, ma di sicuro è cambiato tanto, forse tutto. Sinceramente non ricordo l’ultimo anno in cui sono andata fisicamente in un negozio di foto con un rullino da trentasei pose in mano . Che poi di queste trentasei la metà erano da buttare; eppure il lucido, l’odore della carta, scegliere se stamparle con la cornice bianca o meno, era un bel momento. Il rumore delle macchina fotografica poi era davvero unico: click, zzzzzzzz; click, zzzzzzz e poi dopo una sessantina tra click e zzzzz un rrrrrrrrrrrr carico di attesa e speranza, era il segnale che il rullino era decisamente finito e si stava riavvolgendo. Dietro lo scatto c’era tanta riverente aspettativa: occhi chiusi, occhi aperti, occhi rossi, sfuocato, mano mossa, controluce. Con il rullino non c’era la possibilità di rivedersi subito. Bisognava accettarsi per quello che si era, senza star lì a mettersi con la bocca a cuoricino, e con quello che costava, di farsi i selfie non se ne parlava proprio. Da piccola in giro fotografavo le cose. In gita alla Reggia di Caserta, avrò avuto più o meno otto anni, portai a casa un reportage di tutti i soprammobili, lampadari, delle poltrone e dei baldacchini della prestigiosa dimora. Avevo fotografato tutto tranne me. Ma era tutto così meravigliosamente bello, grande, luccicante che non la finivo più di fotografare. Ho cassetti pieni zeppi di foto, molte delle quali inutili (oggi riempirebbero di sicuro il cestino del Mac) e anche una cassapanca di legno ne è piena. Ricordi, istanti, momenti, fotografati e messi lì a prendere la polvere. E poi dopo aver pagato, l’emozione di sfogliarle una alla volta, camminando per strada, lasciandosi scappare qualche sorrisino o qualche storta di naso. “Che peccato, lui sta bene ed io no” si diceva, ma comunque quello scatto si conservava come un tesoro prezioso. E poi, e poi boh…è arrivata la tecnologia.
Dietro lo scatto c’era tanta riverente aspettativa: occhi chiusi, occhi aperti, occhi rossi, sfuocato, mano mossa, controluce.
Una cosa invece che non tramonterà mai è la mia fame, mascherata dalla passione per la cucina. Qui la ricetta per fare degli egregi spaghetti “a vongole”; si lo so che si dice “alle vongole” ma a Napoli il lessico culinario permette delle licenze poetiche.
Per fare i vermicelli a vongole occorre:
500 g di vermicelli
500 g di vongole
olio extra vergine d’oliva
aglio, sale e prezzemolo fresco
Per prima cosa mettiamo la pentola con l’acqua sul fuoco, quando bolle versiamo la pasta con un bel pugno di sale. Mentre i vermicelli cuociono, in un’ampia padella mettiamo abbondante olio, l’aglio tagliato sottilissimo e un ramo di prezzemolo fresco. Facciamo soffriggere e poi eliminiamo il prezzemolo. A questo punto versiamo le vongole e le copriamo con un coperchio. Aspettiamo che si aprano e spegniamo il fuoco. Quando manca un minuto o due per completare la cottura della pasta, scoliamola e versiamola tutta nella padella con le vongole. Completiamo la cottura aggiungendo un mestolo o due di acqua di cottura. Impiattiamo spolverando di abbondante prezzemolo fresco tritato.
Alla fine ho smesso di fotografare lampadari e oggetti preziosi per passare a piatti e cose da mangiare…mi sa che poi non sono cambiata così tanto io.