Senza denaro, non si canta messa
Senza denaro non si canta messa. Non c’è forse detto popolare che sia più pragmaticamente vero, essendo tristemente risaputo che, al netto di ogni ottimo proposito, di ogni buon consiglio, di ogni caritatevole impegno, per far del bene bisogna avere cassa.
Ne sapeva qualcosa già Gesù Cristo, che ben sapendo che noi uomini di minor fede non si sarebbe riusciti con altrettanta naturalezza a far vino dall’acqua e a moltiplicare pani e pesci, si guardò bene dall’imporre condotte d’azione intorno alla gestione del denaro, limitandosi al ben noto, pilatiano (sic!) e mite consiglio di dare a Cesare quel che gli si deve, e al Padre Suo quant’altro gli sia dovuto, così distinguendo i crediti e separando nettamente le giurisdizioni terrena e celeste.
Sia lode all’impegno, ma il pur lodevole sforzo di sfamare una popolazione a partire da una rosetta e una sardina non c’è rimasto in eredità e pertanto, non bastando al corpo il nutrimento dello spirito, per rendergli lode a messa ogni giorno che il Padre Suo manda in Terra, bisogna comprare le ostie e sbiancare gli abiti sacri, acquistare l’incenso e procurarsi le candele, dar da vivere al prete e il dovuto alla puerpera, e persino per fare la carità bisogna che prima la si sia ricevuta.
Che poi nei millenni ci si sia particolarmente dati da fare col crowdfunding, è altra storia.
Ma sarà davvero cosa di poco conto constatare che il patrimonio della Chiesa Universale latamente intesa è uno dei più grande al mondo, facendone la sola multinazionale ad avere per vision il profitto e per mission la carità, roba che al cospetto la famiglia Murdoch la trovi al gran completo a far la questua fuori la cattedrale?
Ma sarà davvero cosa di poco conto constatare che forse degli abiti talari lavorati a mano, degli intarsi in oro, delle decorazioni in argento, delle porpore d’ermellino, dei marmi di Carrara e dei monili sacri tempestati di pietre preziose che neanche gli Incas, forse potrebbe farsi a meno, in questa sorta di monopolio universale della carità che rende nella sola Roma diverse migliaia di lasciti testamentari l’anno, e il cui accumulo di ricchezza nel tempo significa oggi un patrimonio che basterebbe da solo a debellare tre volte la fame nel mondo?
Ma sarà davvero cosa di poco conto apprendere che un immobile su cinque dichiarato al catasto italiano è riconducibile alla Chiesa cattolica, tanto da poterle consentire, sol volendolo, di dare un tetto a tutti coloro che un tetto non hanno, invece di esibirsi in propagandistiche lavate di piedi ai poveracci da parte di Francesco, il Ceo pro tempore, o in loro inviti a presenziare prime di film o visite guidate, per poi affrettarsi a raggiungere la mensa Caritas prima che chiuda?
Ma sarà davvero cosa di poco conto non ignorare che la quota parte di 8×1000 dei non firmatari giunge ugualmente e proporzionalmente nelle casse vaticane alla faccia di chi dice no figuriamoci, io non ho mai firmato?
Senza denaro non si canta messa. Occhio però alle derive, che controvento non si torna indietro, mentre una parola gentile non costa niente.
Ed il ricco non potrà mai capire il povero.