La leggenda del pianista sull’oceano
(Vi prego di leggere ascoltando la musica del M.tro Morricone)
Per La leggenda del pianista sull’oceano, la Banda di Capaci si è vestita a Orchestra.
Alex suona il basso tuba. Ha appena undici anni: alla Banda ci credi o non ci credi. Si lavora… punto.
Noi genitori, senza tempi e senza stanchezza, li teniamo per mano e li lasciamo camminare avanti. Un giorno i nostri figli capiranno, o forse capiscono già… questo conta poco.
Nemmeno conta se non si raccontano. Contano le belle cose che fanno volentieri.
Il mio piccolo uomo porta fiero la sua tuba e come tutti i ragazzi della Banda si sente già “grande”, complice e fiducioso dei “grandi”, degli adulti che lavorano con loro portando avanti iniziative così semplici e immense!
Tornati a casa dopo le prove serali, vispi come cavallette ed entusiasti, poggiano la testa sul cuscino e magari ti raccontano un passaggio di note in controcanto o quell’allegro particolare. Poi il racconto si spezza e si addormentano di colpo sopra un enorme sorriso.
Il giorno prima del Concerto, Alex mi dice come niente che si esibirà un attore capacense: Vincenzo Costanzo. Reciterà Novecento insieme alla musica del Maestro Ennio Morricone.
Cerco il libro di Baricco e leggo ad alta voce. Alex annuisce, ricorda ogni parola…
Mi tornano le immagini del film, l’ho guardato più d’una volta: coinvolgente per trama, poesia, interpreti, regia e musica.
Arriviamo in anticipo. Tutto è pronto nel cortile antistante la sede dell’Associazione Culturale Santa Cecilia di Capaci.
Lo spettacolo comincia, il giovane attore e l’orchestra…
Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa… e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire… ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi… Eppure c’era sempre uno, uno solo, uno che per primo… la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte… magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni… alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare… e la vedeva…
Quello che per primo vede l’America. Su ogni nave ce n’è uno. E non bisogna pensare che siano cose che succedono per caso, no… è il destino, quello. Quella è gente che da sempre c’aveva già quell’istante stampato nella vita. E quando erano bambini tu potevi guardarli negli occhi, e se guardavi bene, già la vedevi, l’America…
Ci rapisce Vincenzo Costanzo, ci rapisce l’Orchestra diretta dal Maestro Giovanni Calderone. Attore e musicisti percorrono l’oceano in sintonia mentre un vento fresco che profuma di notte arriva umido e insistente da dietro il promontorio di Raffo Rosso. Ci investe e ci ristora, vento di poppa impregnato di note e di parole;
L’orchestra svanisce, svanisce l’attore, e come d’incanto, sul Virginian, danziamo cullati da onde sonore
Su quel piroscafo siamo tutti Novecento. Per più di trent’anni, tra l’Europa e l’America, abbiamo imparato a conoscere il mondo con gli occhi e negli occhi degli altri.
Il vento continua a soffiare e poi… Fran.
E ci troviamo su quella passerella. Ci fermiamo… Ah, quei tre gradini!
Dopo tutti quegli anni come potrai vivere al di fuori di una poppa e una prua.
Troppo grande il Mondo laggiù, non ce la farai a viverlo tutto.
La tua vita è il Virginian dove scorre il tuo universo. E il tuo amico capirà.
Novecento non è pronto… o il mondo non è pronto.
Siamo tutti su quella nave e tira il vento… un foglio di musica si dissolve nel buio. Viaggiamo da anni e accade la vita.
Dio è in questa nave e sta in terza classe. Non scende, è con noi, e l’oceano sta fuori.
Quanti Virginian negli oceani dell’indifferenza, avanti e indietro, trasportano artisti migranti. Credono ancora all’America che cambierà le loro vite, e potranno cominciare a sorridere suonando quella musica che non sanno.
Stasera l’ “America”, oltre l’oceano e i suoi abissi, la leggo nei volti di questi ragazzi, nei loro sorrisi, nelle luci delle loro pupille.
Avanti e indietro sui loro Virginian affronteranno venti e marosi. Li accoglieranno togliendo i fermi al pianoforte e suonando lasciandosi scivolare sul pavimento della Sala da ballo, volteggiando tra i tavoli e i lampadari.
Stasera l’ “America”, oltre l’oceano e i suoi abissi, la leggo nei volti di questi ragazzi, nei loro sorrisi, nelle luci delle loro pupille. Al di là del buio di questo squallido piazzale trasformato da note e parole in variopinto e luminoso Salone. E noi elegantissimi danziamo trascinati dalla magia luminosa di questa piccola Banda vestita a Orchestra e di un giovane attore.
Danziamo col suono racchiuso in quegli ottantotto tasti ed espresso dall’infinito di ciascun artista, cullati dalla speranza di reale irrealtà: luce che illumina questa notte buia e non potrà mai estinguere la vera bellezza.