Agosto ti odio
Ho sempre odiato il mese di agosto. La parte discendente della parabola estiva, anticamera insonorizzata di un autunno che diventa quasi atteso ma non toglie la malinconia della stagione calda nei suoi momenti d’oro, giugno e luglio, quando l’aria è festosa, ogni giorno sembra il sabato del villaggio e le città ancora brulicano di vita.
Agosto è come l’ultimo anno liceo: guardi le aule in cui hai penato da quando eri poco più che bambino, osservi i tuoi compagni e i professori con i loro atteggiamenti ormai familiari e i bidelli che hai imparato a conoscere, e anche il panino stantio del bar ti dà quella sensazione: la necessità di prepararti a elaborare un lutto non ancora avvenuto.
E così agosto ve lo oggettivizzo: lo faccio diventare un foglio di calendario da strappare e appallottolare. Da fare a pezzettini. O semplicemente da conoscere.
Il suo nome deriva dalla storia antica: il Senato romano dedicò questo mese all’imperatore Ottaviano Augusto. E se ci pensate, agosto è anche l’ottavo mese dell’anno secondo il calendario gregoriano adottato in Occidente. Pure la parola ferragosto – che non so voi, ma io avevo sempre associato al ferro – è da ricondurre al latino: feriae augusti, le ferie di agosto, per l’appunto, visto che il 15 del mese è considerato il clou della stagione vacanziera.
Ma veniamo a noi italiani. Perché sì, è solo nostra la tradizione agostiana, probabilmente mutuata dal periodo di chiusura delle grandi fabbriche negli anni Sessanta. In quel periodo il boom economico aveva portato alla nascita delle vacanze di massa: viaggiare non era più solo un lusso aristocratico (i Grand Tours didattici dei giovani in giro per l’Europa e le residenze fuori città delle famiglie ricche), ma un’abitudine piccolo, medio e alto borghese. Code di 500 sulle prime autostrade dello stivale nelle cartoline del Touring Club testimoniano che già cinquant’anni fa in agosto le città si svuotavano, travasando le masse nelle località balneari. Film come Il sorpasso (Dino Risi, 1962) e Ferie d’agosto (Paolo Virzì, 1995) offrono uno spaccato tragi-comico di questo scenario.
http://https://www.youtube.com/watch?v=RO_tfAJ2MR8
per comodità l’intera penisola – dalle fabbriche ai servizi, esclusi quelli balneari – evapora nel mese di agosto
Oggi l’agonia agostiana prosegue più per abitudine che per necessità: non ci sono differenze climatiche che ne giustifichino il picco né l’occupazione è concentrata più sul solo settore industriale. Eppure per comodità l’intera penisola – dalle fabbriche ai servizi, esclusi quelli balneari – evapora nel mese di agosto. Un flagello che si autoalimenta. Così non ci resta che arrenderci alla tristezza del cliché, a quell’esodo estivo che riduce le vie del traffico in modalità bollino nero, che svuota le città al pari di una bomba atomica e che ci fa pagare centinaia di euro per una notte in albergo sulla riviera.
Poi arriva settembre e ça recommence. Non è solo l’odore di nuovo della cancelleria scolastica o il guardaroba sottoposto a turn over, è proprio la rinascita da un letargo insensato.