Uno degli equivoci sull’amore
Ai bambini lo insegnano da piccoli, come regola di buona educazione e di vita: non sta bene puntare il dito, soprattutto se lo facciamo per far sentire in colpa chi amiamo. E invece gli adulti a volte lo dimenticano. Eppure dovrebbe essere noto a tutti: a tenerlo sempre teso, quel dito, prima o poi finisce con l’anchilosarsi. O si spezza, e sono dolori.
In amore, poi, la categoria delle dita puntate in servizio permanente è davvero terribile. Sono gli specializzati nell’instillare sensi di colpa proprio in chi sostengono di amare. Quelli che fanno leva sull’affetto, su un presunto e forse male inteso Amore come Entità Superiore, per il quale tu non sei tu: sei la mia proiezione. Sei quello che io ho sempre pensato che tu fossi, o almeno, che saresti diventato. Sicuri che questo sia Amore? O è un gigantesco equivoco, peraltro ricorrente?
Sono gli specializzati nell’instillare sensi di colpa proprio in chi sostengono di amare. Quelli che fanno leva sull’affetto, su un presunto e forse male inteso Amore
Pensavo che col tempo saresti cresciuto
Scusa, ma chi te lo ha mai detto che io volevo crescere, o almeno nel senso e nel modo che intendi tu?
L’Amore fa crescere, basta quello. Almeno a quelli non egoisti o non eterni Peter Pan…
E la libertà? E l’essere se stessi? No. Sei anche libero/a di fare come preferisci; che, per inciso, è il modo più congeniale al tuo modo di essere e quindi quello che ti fa star meglio. Ma se lo fai, io mi addoloro perché non ho il totale controllo della tua vita, perché, semplicemente, devo accettarti come sei e non come fa comodo a me che tu sia: e allora sei senza cuore.
Mi fai star male e te ne freghi. È quella la linea sottile del ricatto silenzioso, del senso di colpa agitato: non la minaccia di una qualche rappresaglia, ma il carico del dolore causato per il solo fatto di essere se stessi.
Si, questa è la categoria di dita puntate decisamente più antipatica. Quelli che usano la leva dell’Amore per imprigionare invece che per far vivere l’altra persona; quelli che del proprio, presunto Amore fanno un ricatto morale e non un mezzo per rendere felice l’altro.
Tagliatevelo sto’ dito, suvvia, se non siete capaci di amare e voler bene senza imporre i vostri modelli e la vostra visione delle cose. Amare vuol dire prima di ogni altra cosa accettare profondamente l’altro e volerlo far respirare di ossigeno, cielo, Vita; non soffocarlo in ragione del vostro Amore non sano. Amare vuol dire esaltare lo spirito vitale dell’altro, supportarlo nei suoi talenti, aiutarlo a sviluppare il suo potenziale; non reprimerlo o gettare acqua gelida sulla sua fiamma vitale per tenere tutto sotto un ipotetico controllo.
Amare vuol dire esaltare lo spirito vitale dell’altro, supportarlo nei suoi talenti, aiutarlo a sviluppare il suo potenziale; non reprimerlo o gettare acqua gelida sulla sua fiamma vitale per tenere tutto sotto un ipotetico controllo.
Certo, accettare non significa passività; chi ama deve sapere incidere nella vita della persona amata. Se necessario, sapergli tenere testa, scontrarsi, aprirgli gli occhi anche quando l’altro si rifiuta di vedere. Amare significa dire la Verità anche scomoda, piuttosto che una dolce menzogna, o una comoda omissione. Ma in nessun caso può presupporre il rifiuto dell’essenza dell’altro. In nessun caso può tradursi nella pretesa che la propria felicità passi attraverso l’infelicità dell’altro, perché lo si vuole obbligare a indossare un vestito che non è il suo. Questo o non è Amore, o è Amore non sano. E non va bene. Specialmente se la persona “amata” non ha piena consapevolezza e si lascia ingabbiare in invalidanti dinamiche di colpe: essere se stessi non è mai una colpa, semmai lo è non voler crescere, non volersi evolvere, fuggire, essere egoisti. Tuttavia, sempre rimanendo se stessi. Altrimenti… ha sempre ragione lui, il mai abbastanza compianto Massimo Troisi: pensavo fosse amore e invece era un calesse. E allora meglio soli e pazzi.