Tu sei gay ma quello sbagliato sono io
Un pacchetto di fotografie 13X18 spunta inaspettato da un cassetto che avevo deciso di liberare. Eravamo in spiaggia, belli più del sole, felici che di lì a poco avremmo preso strade importanti, avremmo programmato il nostro futuro. Pieni di speranze, carichi di aspettative, sicuri delle verità che portava ognuno nelle proprie tasche. La nostra classe del Liceo si rivelò anomala sin dall’inizio. Gli stessi professori furono vittime del nostro fascino, ma non ricordo che ne approfittammo mai. Fummo abbastanza intelligenti da utilizzare il carisma per intessere rapporti di rispetto, di stima, di scambio reciproco. Severi e critici con gli insegnati dai quali potevamo trarre poco, idolatrammo chi comprese le nostre anime. Furono cinque anni che definimmo indimenticabili, salvo poi dimenticarcene qualche anno dopo.
Una sorta di sinergia, quello che oggi si definisce intelligenza collettiva. Insieme costruivamo forza. Tutti insieme, chi rimaneva indietro veniva recuperato dal gruppo, si rallentava il passo giusto per aspettarlo, ma poi si ricominciava a correre
Quell’anno avremmo fatto la maturità. La tradizione della scuola permetteva di scegliere in autonomia il cosiddetto viaggio d’istruzione. Ci invitarono a nozze. La nostra fantastica macchina organizzativa si mise in moto tirando fuori quello che sarebbe dovuta essere una vera vacanza. La nostra proposta ebbe la meglio sulle altre quinte, ma d’altra parte ce lo aspettavamo. Potevamo contare sui voti di tutta la popolazione maturanda femminile della scuola, per nessuna ragione al mondo si sarebbero perse una settimana con gli otto fustacchioni della sezione B. Minacciammo di disertare, qualora fosse stata votata una proposta diversa. La sola amicizia con uno di noi permetteva alla fortunata una scalata sociale nell’ambito scolastico inimmaginabile, figuriamoci un flirt o qualcosa di più serio. E in quella settimana di cose serie si sperava ne accadessero parecchie. Insomma, in qualche modo, stava partendo il mercato del bestiame, con tanto di contrattazione, domanda e offerta. La vincitrice o le vincitrici, al ritorno avrebbero potuto sbandierare il titolo di fidanzata di uno di noi. Forse.
Nonostante il fresco ancora ficcante del mattino presto, noi maschietti indossavamo solo una t-shirt aderente ed un giubbotto annodato in vita con le maniche. Procedemmo in blocco, mancavano solo una musica di sottofondo ed un rallenty. Per tutto il resto eravamo degni di una sceneggiatura
A distanza di tempo mi rendo conto di quante cose piombino nel momento in cui sei più impreparato, quando ti mancano le conoscenze di base, quando capisci che sei stato educato in un contesto che pensa soprattutto a preservare se stesso. Nulla che possa andare fuori dal già visto, già saputo, nulla fuori piano sarebbe stato contemplato né contemplabile. Era primavera inoltrata e il sole della Puglia già si faceva sentire. Una settimana senza genitori e soprattutto senza libri. Il centro storico di Bari, Alberobello, gli ulivi, la terra rossa, spettacolo nello spettacolo della nostra impaziente gioventù. Subito dopo pranzo eravamo liberi di fare qualsiasi cosa, o quasi. Ci si infilava in camera per cambiarsi ed andare in spiaggia. Dividevo l’alloggio con due compagni, o meglio ufficialmente era così. Per meglio dire, avevo li le mie cose, ma non ricordo di averci mai dormito in quel letto. Entrai sparato, avevo fretta di raggiungere gli altri. Nico era seduto, accucciato in avanti, piangeva, si abbracciava da solo lo stomaco, dondolava, il mento affondato nel petto. Luigi gli teneva un mano sulla nuca, nel vano tentativo di consolarlo. Neppure riuscii a chiedere cosa stesse succedendo che Luigi iniziò a dirgli che si era accorto benissimo di come avesse guardato il tizio all’autogrill, di quanto fosse un uomo di fascino, ben vestito, con una bella auto. Aveva capito quanto potesse piacergli, che non c’era bisogno di spiegarlo, che continuasse a piangere, che si liberasse. Avevo fatto qualche passo in avanti, ma avevo perso le capacità di equilibrio. Ricordavo ci fosse un scrivania alle mie spalle, la cercai allungando le mani dietro la schiena, avevo bisogno di qualcosa a cui appoggiarmi, ma forse anche di mettere qualche metro di distanza tra me e ciò che stavo sentendo. Della condizione gay sapevamo pochissimo e male. Sapevamo che lo fossero alcuni pittori, scultori, ce lo aveva detto il Prof di Storia dell’arte, ma nel nostro immaginario la cosa si spiegava nell’eccezionalità del personaggio. I nomi appresi sui libri appartenevano a persone morte o in ogni caso lontanissime da noi. L’artista degno di trovare posto sulle pagine di un testo appariva quasi una non entità reale, un mito, un essere esistente solo perché se ne parlava, immateriale. Non avevamo neppure risparmiato battute a riguardo, lodavamo Leonardo da Vinci, aggiungendo un “peccato che” ai nostri commenti.
Etero uguale perfetto, gay uguale sbagliato, non corretto, fuori schema, impreciso. Mi chiedevo perché avesse fatto quella scelta, cosa credeva di guadagnarci, che tipo di vita avrebbe avuto
Incrociai lo sguardo di Luigi e gli feci un cenno interrogativo con la testa. Mi rispose con gli occhi facendomi capire che quella storia non sarebbe dovuta uscire dalla stanza. Nico alzò il mento guardando entrambi come un bambino che chiede aiuto ma viene ignorato. Credo intese benissimo le nostre posizioni. Si alzò e disse solamente: Vado a cambiarmi. Lo stesso facemmo noi. Da quel pomeriggio diventò ancora più brillante di prima, a tratti quasi eccessivo. Trascorse il resto dei giorni praticamente senza freni, in tutti i sensi. La cosa non arrivò ad altri se non a pillole durante l’estate dopo la maturità. Lo fece Nico stesso, incontrando separatamente tutti gli altri. Non ho mai saputo che reazione avessero avuto. Non ne abbiamo mai parlato volentieri. Con l’autunno e l’inizio dell’Università, il gruppo si ridusse a pochissimi di noi, la magia si era spezzata o forse cinque anni in semi simbiosi sono davvero troppi. Nico preferì tenersi fuori e fu un sollievo per tutti.
Ti ho perso di vista, amico mio. So che oggi sei un professionista affermato e che non viviamo più nella stessa città. Credo tu abbia un compagno. Sono certo che è un uomo fortunato ad averti accanto. Dopo anni rimpiango di non averti detto una parola, né allora né dopo. Hai avuto coraggio. Hai avuto due palle che neppure quelle di tutti gli altri messe insieme. A differenza di tutti noi sei un uomo libero, un uomo vero. Tu sei gay, Nico, ma quello sbagliato, non corretto, impreciso, guasto sono stato io.