Maldestro: l’amore è cieco!
Tutto a memoria
Quand’ero piccola,
non volevo imparare
niente a memoria.
Leggevo e rileggevo
volevo ragionare.
Pensavo: “si tengo
a capa, perché devo
imparare tutto a memoria?“
Solo quattro chiacchiere. Con chi? Con Antonio Prestieri, in arte Maldestro. Un cantautore napoletano. Un attore e autore teatrale. Vincitore di prestigiosi premi in ambito musicale con il brano “sopra il tetto del comune”, quale artista emergente, ci ha concesso una chiacchierata a margine del concerto in favore della protesta dei lavoratori fiat di Pomigliano d’arco.
Ciò che colpisce di Maldestro è la semplicità con la quale esprime concetti che sono racchiusi tutti nella sua arte. Sono continui i riferimenti ai mostri contro i quali combatte quotidianamente. Mostri che scompaiono dal momento in cui sale sul palco. Che si tratti di una scena di teatro o di una ballata con la sua inseparabile chitarra. Un mal d’estro che vola via a suon di note e battute scritte di suo pugno.
Maldestro perché “sono maldestro per davvero, coi sentimenti e con il corpo. Se a tavola si rovescia dell’acqua, è per causa mia”, dice. Sono racconti di vita, di sapori e di sentimenti. Racconti di pregiudizi e rabbia. Racconti d’estati in cui si rischia di rimanere cechi a causa di un tuffo. Racconti di una periferia della città, forse, più contraddittoria di sempre. Racconti di una famiglia non tradizionale.
Da un lato abbiamo l’arte. La voglia di esprimersi attraverso essa. Il richiamo di libertà e una madre non vedente “alla quale devo tutto”. Dall’altro lato una pagina che sembra essere pesante e che sistematicamente esce fuori in occasioni di uscite pubbliche e interviste. Quel padre camorrista a causa del quale egli stesso veniva definito, al solo sentire il cognome, malavitoso.
“E a scuola più mi chiamavano camorrista, più io mi comportavo da tale. Una sorta di provocazione involontaria nella quale cascavo reagendo in maniera prepotente. Per poi starci male”. La scuola dovrebbe formare la classe dirigente del futuro, dice Maldestro, che ha partecipato a tanti incontri con i bambini ai quali ha riportato la propria esperienza.
Una famiglia non tradizionale, appunto. “Mia madre è cieca da quando mi ha partorito, ma è la persona alla quale devo tutto”. La pace dei sensi. “Una madre cieca ti insegna a vedere, sentendo e toccando.” La sempre difficile percezione dell’altro viene semplificata con questo approccio. E racconta di quando, in occasione di un natale, la madre fece trovare in casa un albero senza addobbi: “Ma’, ce la potevi mettere almeno qualche pallina!”. “Anto’, ci stanno tutte le palline che vuoi, qui sopra, ciascuno s’immagina le sue”. In sostanza, l’insegnamento di vedere ad occhi chiusi, secondo Antonio Prestieri, dovrebbe valere sempre ed è la cosa più bella che esista.