Me lo ha detto l’acqua
Oggi non è come gli altri giorni. Me lo ha detto l’acqua, con sottili vibrazioni che smuovono la placidità del liquido. L’acqua parla a noi delfini.
Non è un giorno come gli altri anche perché non vedo più mia madre. Da quando sono nato, in questa vasca azzurra, lei è stata sempre con me. Mi ha insegnato a respirare fuori dall’acqua e a nuotare in tondo, a saltare oltre la superficie e ad avvicinarmi agli umani con fiducia.
Però lei oggi non c’è.
Negli ultimi tempi era molto triste. All’apparenza il sorriso sul suo muso era sempre lo stesso, ma questo è inevitabile, noi delfini siamo fatti così, siamo condannati ad avere il sorriso. Parlo di condanna perché è un marchio indelebile, che non ci impedisce di essere malinconici, anche se in genere siamo tutti di buon carattere.
La mia mamma era stanca, lo sentivo. O forse anche questo me lo diceva l’acqua?
Faticava a fare i giochi con gli umani tutti i giorni, più volte al giorno, per fare divertire altri umani seduti fuori sugli spalti. Saltare nel cerchio, uscire sul bordo, scarrozzare l’umano attaccato alla pinna e altre cose così. Lo faceva malvolentieri, con sforzo.
Forse c’entra qualcosa quello che ogni tanto mi raccontava.
Lei diceva che la vasca dove viviamo non è il mondo. Il mondo è molto più grande. È liquido, come qui, ma ha molti più colori. Il più delle volte è azzurro, ma anche blu scuro, quasi nero. Oppure è verde come una pietra preziosa. Ed è molto più profondo. Anzi proprio nella profondità si scurisce: man mano che vai giù nell’abisso vai incontro alla notte.
Non riuscivo a immaginare quella differenza cromatica e nemmeno quelle dimensioni. Mi faceva anche un po’ paura, a dire il vero. Non sarà faticoso nuotare senza un confine davanti? Come si fa a capire dove andare? Come si trova l’orientamento? E cosa c’è, là in fondo?
Ma la mamma diceva che noi delfini abbiamo un senso che comunica con l’acqua e che ci guida senza sbagliare mai. Cioè, qualche volta capita che perdiamo la strada e i punti di riferimento, ma non perché siamo noi sbagliati. La colpa è di certe cose che gli umani riversano nel mondo, cose brutte, puzzolenti, o suoni strani che interferiscono con il nostro sistema di orientamento. Quando le incontriamo, queste cose brutte, l’acqua non ci parla più, non sappiamo più dove ci troviamo e dove stavamo andando. Secondo la mamma molti di noi delfini in queste condizioni possono finire disorientati sulla terra ferma, che è un po’ il confine del mondo, a distanze molto più grandi di quanto ci siano nella vasca. E il brutto è che a quel punto può succedere che tanti non riescano più a ritrovare l’acqua e a volte muoiono lì.
Quando le incontriamo, queste cose brutte, l’acqua non ci parla più, non sappiamo più dove ci troviamo e dove stavamo andando.
Secondo la mamma però molte volte gli stessi umani che causano questi guai cercano in tutti i modi di salvare la vita ai delfini che finiscono tanto male.
Sono strani, gli umani. La mamma lo dice sempre.
Dice anche che c’è un filo invisibile che ci unisce a loro, per questo dobbiamo rispettarli anche se non si comportano sempre bene.
Era molto giovane e stava nel mondo quando le era capitato il primo incontro ravvicinato con un umano.
L’umano stava per morire nell’acqua. Perché, mi aveva spiegato allora, gli umani frequentano il mondo, ma non sono del tutto adatti ad esso. Loro non possono respirare nell’acqua come noi, che però respiriamo anche fuori. Quando se ne dimenticano finisce che il mondo liquido, azzurro o verde che sia, li sovrasta e li uccide.
Perché il mondo è meraviglioso, ma non perdona gli imprudenti.
Insomma, la mamma vede quell’umano e pensa che non è giusto abbandonarlo al suo destino. Gli si avvicina fino a che lui capisce che può aggrapparsi e lo porta in salvo.
Brava la mia mamma!
Perché il mondo è meraviglioso, ma non perdona gli imprudenti.
Ma dov’è, perché non è qui con me, ora?
Sta per succedere qualcosa, me lo ha detto l’acqua con quella voce segreta che la mamma non mi ha saputo spiegare bene cosa sia.
Gli umani da qualche tempo sono agitati e questa agitazione si riversa qui dentro. Gli altri delfini non mi dicono niente, sono separato da loro.
Comincio a temere che la mia mamma non ci sia più.
Vorrei averla qui accanto a me, che mi racconta ancora di quando gli umani l’hanno presa e portata qui, tanto tempo fa.
Non capiva che male gli avesse fatto, perché l’avevano privata del mondo immenso in cui nuotava per confinarla in un piccolo specchio. Non capiva perché meritasse questa punizione.
Loro, gli umani, non l’hanno trattata male, solo che non la lasciavano più andare. Volevano giocare con lei. E lei che era giovane alla fine si è fidata di loro e ha cominciato a giocare. Ha pensato che se li accontentava l’avrebbero riportata nel mondo.
Da allora è passato molto tempo, lei ha continuato a giocare anche se non ne aveva voglia, ma il mondo non lo ha visto più.
Quante volte me ne ha parlato!
Mi ha detto che in quel mondo non ci sono solo delfini come noi. Ci sono delle specie di piante che forse non sono piante, non so, ma sono coloratissime e preziose!
Ci sono creature che ci assomigliano, si chiamano pesci. Sono tantissimi, colorati, nuotano a tutte le profondità, formano branchi a volte immensi, a volte piccoli.
Poi ci sono altre forme di vita che io nemmeno riesco a figurarmi, come quelle creature che hanno tanti tentacoli, o quelle grandi e piatte che si muovono con tanta eleganza che se fossero in cielo volerebbero. E ci sono quelle che vivono in un guscio, quelle che escono solo di notte, quelle che si mimetizzano con la sabbia.
Ci sono quelle da cui guardarsi, come i cattivissimi squali o le orche, che potrebbero mangiarci in un boccone.
E ancora ci sono creature enormi, che come noi respirano aria e spruzzano l’acqua, sono così grandi che non ce la faccio a immaginare quanto: sono le balene e i capodogli.
Anzi, la mamma diceva sottovoce che più il mondo è profondo, più è probabile che si possano incontrare forme di vita gigantesche che non hanno mai visto la luce del sole. Ce ne sono perfino di piccole e cieche!
Glielo ha detto l’acqua.
Ora l’acqua mi sta dicendo di tenermi pronto, perché c’è una novità per me. Non sono più così piccolo. La mia mamma non la vedrò più e gli umani, dopo aver discusso e lottato per me, hanno preso una decisione importante che mi riguarda.
Infatti lo vedo che sta succedendo qualcosa.
Una rete mi cattura, vengo infilato in un recipiente che a malapena mi contiene, in cui l’acqua scarseggia. Ho un po’ di paura. Va bene fidarsi degli umani, ma siamo sicuri?
Un rombo di motore mi porta chissà dove.
E finalmente il viaggio finisce.
Rivedo il sole. Annuso l’aria e sento un odore diverso. E poi la vedo.
Una distesa enorme. Ha il colore della vasca in cui sono nato, più azzurro del cielo. Non vedo i confini. Mi agito, ma non so se per il timore o per una nuova gioia inspiegabile. Cerco di comunicarlo anche agli amici umani che mi hanno portato fino a qui e di cui vedo un sorriso simile al mio sui musi.
Sento il richiamo dell’acqua, mi tranquillizza, mi invita. E di colpo ho un bisogno impellente di essere lì. Di nuotare fino a che mi mancherà il fiato. Di volare oltre la superficie in salti senza limiti fino a sfiorare i gabbiani. Di andare a esplorare la profondità senza paura. Di seguire spontaneamente la scia che le imbarcazioni degli umani apriranno nei loro viaggi. Di trovare una delfina che voglia essere la mia compagna di giochi e di vita.
Tutte queste cose, che ancora non conosco, le so perché me le ha dette l’acqua. Le imparerò e sarò felice.
Me lo ha detto il mare. Il mio mondo.