L’onda perfetta
E’ un pomeriggio di vento caldo, piena estate, un mare siciliano impetuoso, avvolgente, affascinante. Onde alte, la schiuma bianca in cima al cavallone, con quel rumore crescente e vagamente minaccioso, come di qualcosa che ti si sta per abbattersi contro. Qualcosa che è acqua, carezza, rinfresco, ma anche forza travolgente, fuori dal tuo controllo, le gambe che verranno mosse anche se volessi opporti e tu che verrai spostato violentemente. L’onda arriva e puntualmente ti travolge: è un attimo che ci sei dentro, non vedi niente, sei, per quei due o tre secondi, in balia di una forza ancestrale. Un vortice di tutto e di nulla. Che non ti fa paura. Ti affascina. Improvvisamente in una dimensione eterea, senza spazio e tempo.
È un flashback fulmineo e sei indietro più o meno di 35 anni, a quando, bambino, cercavi il centro esatto dell’onda, il suo punto di equilibrio perfetto. Onde alte anche allora, non era Sicilia ma Grecia, la tua spiaggia del cuore, Makrys Yalos, Cefalonia, tu che cercavi la mano e lo sguardo di tuo padre, come oggi altri occhi bambini cercano la tua mano protettiva e il tuo sguardo di condivisione. Volevi vedere come era fatta dentro un’onda così alta e forte. Volevi vederne l’anima, il cuore, la genesi. Cercavi la forza della vita, ma non lo capivi, ancora, cosa ti spingesse a ficcare la testa proprio lì, al centro dell’onda, come fosse una mela da tagliare perfettamente in due. Cosa potevi saperne della forza della vita tu, allora. Però il mare, e quella sua forza ancestrale, dovevano attrarti molto, già a quell’epoca. Avresti capito solo più avanti che si trattava di quella che avresti imparato a definire una metafora.
L’emozione di andare oltre, di cavalcare l’onda perfetta e per un istante eterno sentirsi invincibili, immortali, superiori ad ogni limite. L’adrenalina dell’emozione pura.
Anni dopo, da ragazzo, fu il tempo di Point Break, un film cult nel suo genere, in cui un gruppo di ragazzi decisamente sopra le righe cercava “l’onda perfetta”. E lì, forse, iniziasti a capire il senso vero della metafora. I protagonisti erano surfisti, nei mari della California e in Australia, ma non era lo sport il punto: era la sfida al limite. L’emozione di andare oltre, di cavalcare l’onda perfetta e per un istante eterno sentirsi invincibili, immortali, superiori ad ogni limite. L’adrenalina dell’emozione pura. Ripensi: quanti anni è durata quel senso di sfida, giocato su mille fronti? Hai mai trovato, davvero, qualcosa oltre? Ti sei divertito, sapendo che appagato non lo saresti stato mai. Quante cazzate con gli amici, quante battaglie impossibili combattute solo perché tali, per perderle, perché a sfidare il limite si perde ed è quasi bello, eroico, perdere, a vent’anni. Perché tanto l’onda perfetta, se mai arriva, ti spazza via, ma poi ti rialzi sempre e cercarne una più perfetta, con tutte le sue metafore, sempre loro, sempre lì, a mostrarti una cosa e rimandarti ad altre mille. Mentre tieni qualcuno per mano e a volte proteggi, altre vuoi essere protetto e comunque non ti senti mai veramente solo. Nemmeno quando lo sei. Perché se lo sei, è solo un attimo, a vent’anni. Una botta di malinconia, il picco di un momento. Come fosse un’onda stavolta interna, che parte e ti inonda da dentro, si schianta sulla riva e va.
Quanto è durata quella ricerca dell’onda perfetta? Quanto le domande senza risposta. Non finiscono mai. Due secondi dentro un’onda, adesso, molti anni dopo; due secondi per rivivere le stesse sensazioni di altre epoche, come se gli occhi fossero ancora di quello stesso bambino. Per realizzare che non esiste risposta, se non sempre la stessa, con parole o metafore diverse: l’onda perfetta non esiste, e se esiste non ti avvisa mai del suo arrivo e allora manchi l’appuntamento, come fosse uno scherzo cinico. Un attimo in anticipo o in ritardo e sei ancora lì, che quando pensi di aver capito tutto hai capito solo che il senso non è nell’onda ma nella ricerca…
Riprendi la mano di tua figlia, le insegni a voltarsi quando arriva l’onda più forte, a proteggersi, a non bere. Vorresti raccontarle di te, dei tuffi a testa al centro esatto del cavallone, vorresti spiegarle che è tutto inutile, che più tenterà di cogliere l’equilibrio perfetto, l’origine, il senso delle cose più non afferrerà mai molto più che ombre fugaci, acqua che scivola via dal pugno chiuso. Vorresti spiegarle ma sarebbe inutile: lo capirà per conto suo, con o senza onda perfetta.