I bambini non devono morire!
Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l’inutil vita
Estremo unico fior,Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol piú ti rallegra
Né ti risveglia amor.
I bambini non devono morire, no, non dovrebbero proprio. In una calda sera d’estate, quando dovrebbero divertirsi al mare con la mamma e il papà, tra giochi e sole, cosa c’entra la morte in tutto questo? Mi arriva così la notizia, mentre scorro col mouse la home di un social, vizi e virtù di una vita passata praticamente online, non per diletto di certo. Leggo del nipotino di un conoscente che ha subito un intervento al cuore e chiede a chi può una preghiera. Chi può. Io non posso perché ormai da molti anni ho smesso di credere nel potere delle preghiere. Però mi manca. Mi manca poter fare affidamento su qualcuno, su un entità, quale che sia, in grado di ascoltare le tue suppliche. E così no, io non prego più. Non ricordo nemmeno se ho mai saputo farlo veramente.
Non prometto preghiere per il piccolo, cosa posso fare? Forse pensieri positivi, magari l’energia positiva riesce a modificare gli eventi, ma ho come una sensazione di pesantezza al cuore. Il bambino non ce l’ha fatta e cavolo, io non lo conosco, conosco poco pure lo zio, ma mi sento come se mi stessero strizzando il cuore. Sarà che una mamma si immedesima nella sofferenza di altre mamme, o forse serve da catarsi, per liberarsi del pensiero che l’uomo nero venga a prendersi anche tuo figlio. Non lo so, fatto sta è che subito dopo lo sgomento mi sale l’incazzo. Sì perché i bambini non devono morire. Non è una cosa naturale.
Non me ne frega niente della storiella che diventano angioletti, che Dio li vuole con sé perché sono speciali. Perché forse che per la madre che li ha partoriti non lo erano? Forse questa mamma sentirà come un balsamo sulle ferite sanguinanti al sentirsi dire che il figlio ora è su in cielo con gli altri angeli? No scusate, ma chi se ne frega. Non ci sono giuste motivazioni per un’amputazione così dolorosa.
Perdere un figlio è quella cosa che ti strappa le carni con una mano d’acciaio fredda e tu non senti il dolore del corpo, tu senti solo che ti manca il respiro e che vuoi urlare all’infinito per far uscire dal tuo corpo tutta la rabbia, tutta la disperazione che ti si attorciglia alle viscere come un’edera di fuoco che ti corrode dall’interno. Poi viene il momento del lutto. Il momento in cui ci si deve rassegnare alla perdita. Ma davvero ci si rassegna alla perdita di un figlio? Io credo di no. Credo che sia come mettere in gabbia il mostro, ma che ogni volta che lasci la gabbia aperta questi viene fuori e fa strage di emozioni. Ci prende gusto a sparpagliare le foto sul letto, quella vocina che dentro la testa ti dice “dai, apri l’album e guarda come eravate felici”. E tu guardi, guardi e sanguini.
No, non credo che le lacrime finiscano. Non si asciugano. Le lacrime sono come il latte, finché il bambino succhia si produce. Le lacrime scorrono fino all’ultimo respiro. Fino al momento in cui speri che tutto quello in cui non hai mai creduto sia vero, e che tu possa ritrovare chi hai perso dall’altra parte di quel sottile velo che separa la vita dalla morte. Ma i bambini non dovrebbero mai stare dall’altra parte senza le loro mamme. Mai.