Matrimoni egiziani
Vorrei chiederle di spiegarmi cos’è l’amore, ma opto per un classico “sei felice?”. Abbassa lo sguardo e arrossisce: Myriam ha diciannove anni e oggi si sposa. La madre singhiozza in cucina, imitata dalle sorelle. “Non ci badare, qui è normale”. Eppure gli occhi lucidi ce li ha anche lei.
Qui non ci si sposa dopo aver fatto due figli, le vacanze insieme o un paio di anni di convivenza. Qui si fa ancora alla vecchia maniera. Ci si sceglie, ci si fidanza, si va all’altare. Niente è concesso prima dello scambio delle fedi, a parte qualche uscita in compagnia di fratelli e cugini. E il sì pronunciato il giorno delle nozze è ancora il grande evento di tutta una vita.
Bekhit ci aspetta al piano terra con l’aria scanzonata dei suoi vent’anni e i capelli ricci che gli scendono in ordine sparso sulla fronte. E’ poco più grande di Myriam ed oggi diventa uomo. Ci sistemiamo in macchina alla bene e meglio -sorella e cugine della sposa comprese- e ci lanciamo verso Nasr City con il vento che ci spettina i capelli e la voce di Amr Diab che dalle casse rimbomba fino in strada. Ai nostri lati corrono come sulla pellicola di un film la Cittadella di Saladino, le moschee e i palazzoni ocra della periferia del Cairo. Bekhit suona il clacson e le ragazze battono le mani.
I festeggiamenti hanno avuto inizio due giorni prima -lo yaum el henna– con un nugolo di donne sedute sui tappeti del soggiorno a battere i palmi sui tamburelli e a far vibrare le lingue nel suono della zaghrouta. Hanno aspettato che lo sposo rincasasse per far uscire dalla cucina l’henné rosso, preparato come una torta su una ciotola con tanto di candeline, e cospargergliene in abbondanza mani e piedi. Poi si sono spente le luci, e in un’atmosfera surreale una zia ha afferrato una candela e l’ha fatta passare sui palmi del ragazzo tra le esclamazioni divertite dei bimbi e le benedizioni dagli adulti.
Il salone di bellezza sta in una delle zone più ricche della città. Bekhit si dilegua e per Myriam iniziano lunghe ore di preparativi. Il bagno turco, l’henné sulla pelle, la manicure e la pedicure, la tinta ai capelli ed il make-up: è la giornata che attende da una vita, oggi può concedersi di tutto. Il tempo passa tra un trattamento e l’altro, con le cugine che per farsi belle optano per l’economico fai da te e un via vai di nuvole di tulle e sorrisi raggianti. Ci si scambiano pareri, ci si raccontano storie, ci si fanno gli auguri. Il parrucchiere mi tocca i capelli e mi chiede cosa uso per tingerli. “E’ per la sposa laggiù – dice rigirando le punte tra le dita – vuole la stessa tinta”. “Non è una tinta, è il mio colore!”. E la sposa quasi collassa.
In quella gazzarra di profumi, trucchi, veli e brillanti sembra sia sceso un incantesimo ad annullare il tempo. Ogni ragazza brilla della luce dei propri sogni, ché in fin dei conti quel giorno lo attende da anni e per altrettanti anni verrà ricordato come sommo momento di gloria.
Myriam si rimira nello specchio con aria soddisfatta: il rosso dei capelli le fa risaltare l’incarnato caramello ed il kohl sulle palpebre le intensifica lo sguardo. Non ha voluto farsi schiarire la pelle, come è tradizione tra le egiziane, né usare tinte forti per il make-up. “Da voi in Europa fanno così, vero?” e mi lancia lo sguardo di una che la sa lunga.
Bekhit arriva ed è già buio, le cugine iniziano a sbadigliare per la lunga attesa e pare impossibile che la festa abbia inizio proprio ora. E invece il prete e la comunità attendono gli sposi nella chiesa incavata nella roccia ed al loro arrivo la cerimonia ha inizio. I ragazzi si stringono le mani sotto un fazzoletto bianco, in testa una corona e sulle spalle un mantello candido a significare che d’ora in poi saranno il re e la regina della loro casa. Tra il lampeggiare dei flash e il danzare delle candele Bekhit e Myriam diventano marito e moglie. Niente baci: solo applausi, sorrisi, e ancora il suono stridulo delle zaghroute.
Camminiamo verso il banchetto, le bimbe con gli abiti dalle ampie gonne multicolori a precedere gli sposi mentre i passanti fanno gli auguri e si uniscono al corteo. E si fa festa in strada, sotto le lampadine colorate tese tra un balcone e l’altro per l’occasione, ai piedi di un palco da cui scendono i drappi bianchi e rossi e le luci gialle. Davanti alle donne che mangiano il pollo sui piatti in plastica ci sono le ragazze che fanno a gara a chi è più abile nella danza del ventre. In fondo alla via, appoggiati ai muri, i ragazzini si scambiano gomitate e lanciano occhiate.
Mi guardo intorno, e per la prima volta in questa giornata di festa mi ricordo che siamo nell’immondizia, che la puzza è ovunque, che questa gente vive in uno dei quartieri più disagiati della città. Ma oggi non c’è tempo per pensare ai problemi.
Mi sono chiesta cosa sia l’amore e una delle risposte plausibili l’ho trovata qui. L’amore è la forza che solleva questa gente e la fa brillare tra le difficoltà. L’amore è sorridere alla vita dall’alto di un palco eretto per celebrare un sentimento nato tra le fatiche del quotidiano.
Gli sposi siedono vicini con l’aria frastornata. Scossi da un vortice di emozioni si preparano a vivere insieme la prima notte del resto della loro vita. Non c’è un termine alla loro storia, è ancora tutta da scrivere. Ma a me piace concluderla così, con un lieto “e vissero tutti felici e contenti”. Matrimoni egiziani