Ventiquattro ore senza spendere
Ventiquattro ore senza spendere un centesimo ed uscire di casa senza cellulare: come rubare al mondo piccoli attimi di libertà in cui sentirsi indipendenti da soldi e tecnologia e completamente padroni di se stessi.
Anche se in fondo è una bugia.
Non spendere neanche un centesimo per ventiquattrore di fila.
Cosa frequente? Normalità?Non per tutti.
D’altronde, a meno che non si resti barricati a casa, è normale cedere alla voglia di un caffè, di un gelato, ricordarsi di quel libro da comprare per l’esame di settembre, avere urgenza di fare la spesa di frutta, verdura, pane, volersi togliere uno sfizio.
Credo di essermi resa conto di quanto sia difficile passare una giornata -in parte fuori casa ed in parte dentro- senza spendere alcunché soltanto quando ho iniziato a vivere da sola.
Mamma e papà non provvedono alla spesa al posto mio?
Poco male, da sempre amo comprare ciò di cui ho voglia; ma quando si vive soli si è costretti a pensare anche a tutte quelle piccole cose che non mancano mai quando si vive da figli: sale, pepe, olio, pacchi di pasta, scatolette di tonno e, a meno che non si faccia una grande spesa una volta a settimana, non si riesca a rimanere immuni dalla voglia di acquistare maglie, scarpe, shorts e T-shirt che ammiccano dalle vetrine, che non si resista alla voglia di caffè di metà mattina durante una giornata di Master, è molto difficile tornare a casa con la stessa somma di denaro con cui si era usciti.
Da quando devo amministrarmi da me, tengo il conto di quanto spendo ogni mese.
Il primo giorno in cui mi è capitato di non spendere neanche un centesimo lo ricordo bene. Coincideva con il primo giorno in cui decisi, sul far della sera, di sdraiarmi vicino alla Specola – l’Osservatorio di Galileo Galilei – a leggere lasciando il cellulare a casa.
Ignorando non soltanto ogni contatto con il resto del mondo, persone vicine e lontane, ma anche quello con il tempo, che misuravo soltanto guardando il sole, lentamente, calare.
Indescrivibile fu il senso di liberazione -oserei quasi dire purificazione- che derivò da quella giornata: niente trilli molesti, il rumore lento e ripetitivo dell’acqua che attraversa Padova in maniera capillare, e soprattutto la fierezza di aver resistito alla trappola del consumismo.
Quel giorno il mondo del mercato, della borsa, il mondo di chi compra e vende, il mondo che brama soldi non mi aveva avuta.
Mi sentivo come il bambino che fa filone a scuola e nessuno se ne accorge: come fossi sfuggita per miracolo o per fortuna ad un obbligo che vincola chiunque altro e da fuori la finestra potessi spiare e fare marameo.
Sentivo improvvisamente che, volendolo, è ancora possibile sottrarsi, almeno per un po’, all’ordine e ai dettami di Re Soldo e Regina Tecnologia.
Ovviamente, con il calare del sole, sono risalita a casa, ho letto le notifiche di WhatsApp e trovato qualche chiamata senza risposta e una mail.
L’indomani a colazione ho finito il latte, che ho aggiunto quindi alla corta lista della spesa, mi sono lasciata andare
alla voglia di comprare un magnete per la mia stanza e non ho potuto fare a meno di una fresca centrifuga in centro.
Non è cambiato nulla, non boicotto nulla e sono parte del sistema come tutti.
Ma quelle ventiquattrore, il senso di indipendenza che portavano dentro, mi rimarranno impresse e penso proprio che replicherò l’esperienza più spesso.
Anche se si sa: le repliche non possono raggiungere l’ampiezza dell’emozione della prima volta.