Abbiamo vinto, Paolo!
P: Non te lo dico neanche il sogno che ho fatto l’altra sera, dopo la festa per il tuo compleanno
G: Dai, stai morendo dalla voglia di dirmelo
P: A proposito, divina la cena che avete preparato tu e Francesca. Da quando hai imparato a cucinare?
G: Da quando abbiamo arrestato l’ultimo grande latitante, in quel casale in campagna a Castelvetrano. Era il momento di smettere con quella vita impossibile. Preso lui, io e te potevamo andarcene in pensione. Abbiamo vinto. Abbiamo vinto, Paolo! Ti ricordi quando mi dicevi che ero una testa di minchia perché pensavo di battere la mafia con la legge? Come vedi, tanto testa di minchia non ero! Quante ne abbiamo superate insieme? Quante? Quante menti raffinatissime o molto rozze hanno tentato di ostacolarci e di farcela pagare? Ecco, quella sera ho iniziato a dedicarmi ad altro. A tutte quelle passioni accantonate per una vita. Tra cui la cucina. E il mare. E ridere. Avevo voglia di risate vere, spensierate, non amare.
P: Quanto abbiamo riso io e te, eh Giovanni? La gente pensa che siamo stati sempre seriosi, impegnati sul lavoro o a piangere amici e colleghi morti ammazzati. Eppure quanta vitalità abbiamo avuto, quante risate, quanta energia, nonostante tutto. Con noi nemmeno la morte ci poteva, Giovanni.
G: Allora, me lo dici questo sogno?
P: Fai gli scongiuri, Giovanni. Ho sognato che 24 anni fa, in maggio, a ridosso del tuo compleanno, ti facevano saltare in aria, insieme a Francesca e a tre uomini della scorta, sventrando un’autostrada, in pieno giorno, un sabato pomeriggio. E tu, che sei sempre tintu, pure nei sogni, a momenti li fottevi e non morivi. Rischiavi di farla franca, di nuovo, dopo l’Addaura, malgrado quattro quintali di tritolo.
G: E scommetto che tu, come nei film d’azione, dopo aver versato lacrime al mio funerale, prendevi in mano le indagini e arrestavi tutti i colpevoli!
P: Avrei voluto farlo. Non me l’hanno permesso. Perché, scusa, ti pare che ti abbandonavo? Dopo 57 giorni tocca pure a me. Dopo l’attentatuni che ti fanno all’altezza dello svincolo per Capaci, io cerco di capire. Ci sono troppe cose strane. Per esempio, coincidenze temporali: tu muori mentre è in corso l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, a poche settimane dall’omicidio a Mondello del luogotenente in Sicilia di Andreotti. Com’è che hai sempre detto tu, Giovanni? Il gioco grande.
A quei tempi, nei primi mesi del ’92, tu eri a Roma. Il mio sogno parte da lì: è un sabato pomeriggio, io sono dal barbiere e mi avvertono che c’è stato un attentato. Mi precipito in Ospedale. Mi muori tra le braccia. Dopo la tua morte mi candidano alla SuperProcura Antimafia, mi tirano per la giacchetta in tutti i modi. Ma io ero arrabbiato, Giovanni. Mi confidavo solo con Agnese. Le dicevo che il prossimo ero io, ma volevo fare in tempo a prendere i bastardi che ti avevano ammazzato. Intanto, si pente Mutolo, fa nomi eccellenti. C’è un cambio, apparentemente incomprensibile, di Ministro dell’Interno. Subentra un democristiano, che mi convoca d’urgenza proprio mentre sto interrogando il nuovo pentito. Arrivo al Ministero e sai chi incontro là con lui? Il numero due dei Servizi di cui mi aveva parlato Mutolo.
G: Come spiegherà la cosa il Ministro?
P: Se la nega. Pure quando poi, a distanza di vent’anni, viene indagato. Nega di avermi fatto chiamare, dice che probabilmente si, mi avrà pure salutato, tra le centinaia di persone che avrà salutato quel giorno.
G: E poi perché fanno saltare pure te, dopo così poco tempo? Non è normale nella logica di Cosa Nostra.
P: Non lo so, troppe stranezze. Figurati che c’è di mezzo persino un processo con sentenze passate in giudicato che a un certo punto si scopre essere tutta una montatura. Un depistaggio. Tutto da rifare, c’è stato un pupo manovrato da alcuni pupari. Per ammazzarmi mettono un’autobomba in pieno centro, una domenica pomeriggio di luglio, trasformano Palermo in un avamposto di guerra, con palazzi distrutti e pezzi di corpi sparpagliati per centinaia di metri. Qualcuno fa sparire la mia agenda rossa, sai, quella dove appunto tutto. E qualcun altro vuole far credere che tutto questo l’abbia organizzato un picciuttazzu di borgata.
G: Vuol far credere… e ci riesce, se mi dici che il processo regge fino al terzo grado.
P: Non è finita. A pochi giorni dalla tua morte vengo a sapere che qualche pezzo grosso dei Ros tenta di intavolare una specie di trattativa con Riina e Provenzano, attraverso l’ex sindaco corleonese che era ai domiciliari.
G: E ti incazzi di brutto.
P: Certo. Ti pare possibile che lo Stato si metta a negoziare con questi assassini? Posso capire che si tenti di infiltrare qualcuno, ma trattare no, non è ammissibile. E poi è controproducente. Infatti, puntualmente, dall’altro lato rispondono col papello, scritto personalmente da Riina. Vogliono l’abolizione del carcere duro, leggi contro i pentiti e altre simili amenità. Hai capito a che punto, senza di noi, arriverebbe lo Stato, caro Giovanni? Ti rendi conto cosa sarebbe potuto accadere se davvero Falcone e Borsellino fossero morti in quella estate del 1992? Persino di ritrovarsi mafiosi con la bandiera dell’antimafia, cose impensabili. Tranne che in Sicilia, eh…
G: Nel sogno cosa combinano?
P: Ti ricordi i pezzi di merda che ti votarono contro quando dovevi diventare Procuratore Capo a Palermo? E tutti i giornalisti, i politici, i colleghi che ci hanno sempre dato addosso? Quelli che ci hanno bollato come carrieristi, quelli che di te hanno detto, quando te ne andasti a Roma, che ti eri venduto ai socialisti e a Martelli? E che il fallito attentato all’Addaura te lo eri fatto da solo, te li ricordi tutti questi, Giovanni?
G: Certo che me li ricordo, come potrei dimenticarli.
P: Dopo che ci ammazzano, diventiamo eroi per tutti. Ci hanno pure intitolato l’aeroporto di Punta Raisi, Giovanni, siamo diventati famosi, grazie al tritolo! I turisti atterrano da tutto il mondo e cosa ti trovano, subito? Aeroporto Falcone e Borsellino. Pensa che un politico, uno di quelli che per diversi anni dominava in Sicilia, ebbe a dire che questa denominazione era inopportuna, per ragioni di marketing turistico.
G: Rido solo a immaginarle, queste scene, sai, Paolo: frasi ad effetto, commemorazioni, ogni anno fiori e discorsi solenni nei luoghi dove ci avevano ammazzato. Te lo ricordi, vero, perché fui costretto ad andarmene a Roma? D’altra parte, in tutti questi anni è successo ancora. A volte, ti ho dato ragione: solo una testa di minchia può pensare di sconfiggere la mafia. Non solo i politici, ma a volte pure gli intellettuali, i nostri stessi colleghi, quelli del Csm, ci hanno ostacolato. Secondo loro, dopo dieci anni avremmo dovuto smettere di occuparci di inchieste di mafia. Dove volevano mandarti? Agli abusi edilizi?
P: Stavano per farlo. Ma poi…
G: Poi finalmente, è successo quello che abbiamo sempre sperato. I nostri concittadini, i nostri connazionali, si sono ribellati. Finalmente! I Siciliani sono scesi in piazza, si sono messi a denunciare le richieste di pizzo, i tentativi di corruzione, i compromessi, le raccomandazioni. Hanno denunciato i candidati alle elezioni quando offrivano posti di lavoro, o buoni spesa, o appalti, in cambio di voti. Ci sono voluti anni, ma piano piano tutti hanno compreso quanto è bello quello che tu chiamasti il fresco profumo della libertà. E ora, dopo secoli di oppressione mafiosa, non esiste più il pizzo, l’omertà, la violenza. I Siciliani vivono la nostra splendida terra, in piena libertà. Sembrava impossibile, eh, Paolo?
P: Si, sembrava impossibile. Nel mio sogno, a un certo punto, pochi minuti dopo l’attentato contro di me, il nostro caro Antonino Caponnetto dice piangendo: è finito tutto. Tutto.
G: Invece no, ce l’abbiamo fatta, Paolo. Possiamo goderci la pensione. Tu ti godi i tuoi splendidi nipoti, vedrai tua figlia Lucia diventare assessore regionale e ripulire la Sanità Siciliana dal malaffare, vedrai finalmente la nostra terra diventare bellissima, come tu avevi sempre detto. Io finalmente non dovrò imporre a Francesca ritmi infernali e una vita a metà. Mi dispiace solo una cosa, sai, Paolo. Non aver voluto figli. Ero troppo sicuro che sarebbe andata proprio come nel tuo sogno, che presto o tardi me l’avrebbero fatta pagare, non me la sono sentita di procreare per poi lasciare al mondo degli orfani.
P: E’ andata così, Giovanni, è stato il tuo grande sacrificio, l’ennesimo, per questa terra. Adesso sei un eroe. Non è vero che bisogna morire tragicamente per esserlo, vedi? A proposito, hai impegni domani?
G: No, perché?
P: Nel mio sogno domani ci sarebbe la commemorazione della mia morte, per il 24° anniversario della strage di via d’Amelio. Ci vieni?