Circo: ma vi piace davvero?
Il circo. Chi, da bambino, non ha desiderato andarci con mamma e papà? Un mondo spettacolare e tutto da scoprire, per incontrare ad un palmo di naso animali che avresti potuto vedere solo nei documentari televisivi. I leoni, le giraffe, le tigri, gli elefanti, le foche. Eleganti cavalli montati da cavallerizze tutte scintillanti. E poi anche i clown che ti facevano ridere per le loro cadute goffe e buffe. I tigrotti da abbracciare per una bella foto ricordo. I trapezisti che volteggiavano sulla tua testa, con mille luci colorate e musiche cariche di suspense che accompagnavano le loro esibizioni. Ma ciò che affascinava e affascina tutt’oggi i bambini di ogni parte del mondo sono gli animali. Vedere il domatore che riesce ad ammaestrare dei giganteschi leoni è magico. Cioè, si sta parlando del re della foresta, mica di un micetto qualsiasi! Oppure le tigri che, con un sol schioppo di frusta, e qualche risposta ringhiosa, saltano nel cerchio di fuoco come se fosse del tutto naturale. Ma poi cresci, e quella magia svanisce. Se da bambina ne eri completamente affascinata, ora da adulta ne sei disgustata. Cominci a guardare con altri occhi quelle povere bestie. Leggi tristezza e rassegnazione nei loro cupi sguardi. Se poi ti capita di visitare un circo, non nel momento dello spettacolo, te ne rendi conto ancor meglio. In pieno caldo d’agosto, su una spiaggia spianata, sotto il sole cocente delle tre del pomeriggio, ti ritrovi a voler essere così potente da spezzare le catene che stringono le zampe della giraffa che gira e rigira in quel piccolo cerchio recintato in cui si ritrova a vivere per giorni e giorni. Oppure desidereresti chiedere scusa al re leone, che sonnecchia grazie a chissà quale droga somministratagli dal domatore di turno, per averlo strappato dal suo habitat naturale per puro egoismo umano. Ti viene naturale pensare che quegli sconsolati cavallini dovrebbero galoppare nelle verdi praterie e non ritrovarsi a vivere in gabbie tre metri per tre. Così come i dromedari e i cammelli, che dovrebbero gironzolare nel loro torrido ma familiare deserto nativo. Capisci che la logica non potrebbe volere quella tortura per nessun essere vivente, che merita rispetto e tutela più di un così malvagio destino. Animali selvatici sono stati ritratti tantissime volte da grandi artisti nel tempo. Ad esempio Jan Brueghel il Vecchio, nell’opera Paradiso Terrestre con il Peccato Originale (50,3 x 80,1 cm; olio su rame). L’episodio sacro è relegato sul fondo, come in molte opere fiamminghe e olandesi del tempo, mentre domina la scena l’enciclopedia animale dell’Eden. L’esecuzione, firmata e datata 1612, è finissima e venne svolta senz’altro con l’aiuto di lenti d’ingrandimento: gli infiniti dettagli risultano infatti perfettamente descritti, portando all’estremo le possibilità offerte dalla superficie liscia del rame. Del resto, l’attività di Brueghel si lega all’esordio della natura morta, pressoché contemporaneo. La Galleria Doria Pamphilj a Roma ospita diverse opere del grande pittore, che dipinse alcuni animali nello stesso modo qui e altrove. In questa sono presenti il leone in basso a sinistra, i leopardi a destra, ma vi sono altresì pavoni, pappagalli, elefanti, giraffe, papere, cani, scimmie, e tanti altri ancora. La bellezza dell’opera è proprio nell’accurata descrizione del vasto mondo animale. Secondo la mia interpretazione, l’uomo risulta defilato in questa rappresentazione, quasi a voler sottolineare il necessario rispetto che la natura, composta da fauna e flora, deve meritare. La convivenza che non schiaccia la libertà. L’uomo e l’animale che abitano lo stesso spazio, ma senza invadere quello altrui. In un mondo ideale, dove non esistono gabbie, fruste, cerchi infuocati, e neanche biglietti venduti per uno spettacolo, che nulla ha di così spettacolare quanto la natura stessa.