Libertà
Libertà. Sette lettere messe in croce, un concetto, uno stile di vita. Cosa potrebbe significare la parola libertà per un alieno, per qualcuno che della nostra pseudo civiltà non conosce nulla? Che definizione potrebbe darne?
Ricordo la mia maestra delle elementari. Un giorno ci disse di stare particolarmente buoni: ci avrebbe parlato del Cile, una nazione lontanissima da noi. La indicò sul mappamondo. Non fummo certi che fosse lontanissima, la nostra età non ci permetteva di fare le giuste proporzioni, ma fu un bene. Alla fine della lezione, ci sentimmo cileni più che mai. Per la prima volta sentimmo parlare di nostri coetanei che avevano salutato i genitori al mattino per l’ultima volta, senza neppure immaginare lontanamente che potesse succedere. Sentimmo parlare di nonni, zii, zie, fratelli, sorelle scomparsi nel nulla. Persone “sparite”, annullate, venute al mondo come se avessero la data di scadenza impressa nel dna.
Mi chiedevo quella mattina se ai maschietti cileni fosse concesso di piangere, almeno di nascosto. Ecco, quello era il mio concetto di libertà al momento, poter piangere
Chiedere cosa fosse fu un attimo. Sono bende di tortura, mi fu risposto. Non capisco come possa essere una tortura venire avvolti da qualche metro di tessuto, replicai. Il tessuto è bagnato e asciugandosi si stringe spaccando le ossa, fu la semplice e atroce risposta.
Pensavo a mia madre, alle sue grida di spavento se fosse stata vittima di un tale trattamento. Immaginavo mio padre accanto a lei nelle stesse condizioni, impotente e privato di ogni libertà d’azione. Quella mattina di dicembre era luminosissima, il cielo pulito come un bicchiere d’acqua, ma il gelo nell’aula era penetrante, doloroso, aguzzo come un rovo. Libertà. Fisica e mentale. Stavo scoprendo qualcosa di prezioso, un pezzo dell’esistenza umana al quale non avevo mai pensato. Bene primario, forse più del cibo. Non ne parlammo più, ma quella lezione mi bastò per il resto della vita. Ancora oggi ne ricordo ogni dettaglio. Mi si riapre una finestra nella mente ogni volta che questa necessità umana viene messa in discussione.
A vent’anni ho letto “D’amore e ombra” di Isabel Allende e dalla prima all’ultima pagina fui di nuovo seduto sulla mia sediolina nella classe che affacciava sul giardino. Da allora tante volte mi sono rivisto dietro quel banco con il ripiano di formica verde oliva. Di fronte a me una lavagna nera, una cattedra con il mappamondo in un angolo e la maestra con la gonna grigia appoggiata al bordo.
Cosa vuol dire libertà? Che concetto nascondono queste sette lettere? Saremo mai in grado di oggettivarlo, di renderlo universale?