13 Aprile 2013
In un giorno di metà aprile (il tredici Aprile 2013, per l’esattezza) ho scoperto la corsa, o forse è stata lei a scoprire me, adesso non ricordo.
Il motivo è stato tra i più futili. Mio cugino si doveva sposare e la giacca del vestito elegante (l’unico che indosso a matrimoni, cresime, battesimi e affini) non mi entrava. In realtà non è vero. Ho deciso di darci un taglio quando, in una notte primaverile, dopo l’ennesimo banchetto in amicizia, mi sono svegliato con la bavetta al sapore d’aglio, enormi difficoltà respiratorie e mal di testa tambureggiante. Perché quando c’è la salute, c’è tutto.
In sostanza, in una settimana sono riuscito ad ottenere un ottimo effetto. Cinque chili persi, in soli sei giorni. Al rientro da Bergamo ho avuto modo di capire che proprio la corsa era ciò di cui avevo bisogno. In poco più di sei mesi, ho buttato giù quasi trenta chili, raggiungendo il minimo storico di centocinque.
Ma è risaputo, la vita sedentaria tira brutti scherzi. Se si aggiunge il fatto che amo cucinare e mangiare, il rischio di riprendere tutto in un sol colpo era dietro l’angolo. Dopo un primo periodo di mantenimento, ho iniziato a notare una strana ricrescita. In sostanza ho rimesso, nel giro di un annetto, quei sei – sette chili che non si vedono troppo, ma che danno fastidio.
In questi giorni ho preso una decisione drastica: devo scendere sotto il quintale entro due mesi ed è risaputo che il lunedì è il giorno perfetto per iniziare.
Il programma è il seguente: tre giorni di corsa (otto chilometri due volte e dieci l’altra volta) e tre giorni di bicicletta (ne ho fatta riparare una da passeggio ma la utilizzerò a velocità un po’ più sostenuta).
Alimentazione con molte proteine, frutta e verdura (ma non osate togliermi il pane). Completamente da evitare pasta, fritti e formaggi. Insomma, dopo vent’anni di frequentazioni di nutrizionisti, dietologi, santoni e digiunisti, sono riuscito anche io a farmi un’idea.
Il primo giorno di corsa fila liscio. Oddio, dopo un mese di inattività, un po’ di pesantezza si sentiva. Considerando anche il caldo rovente (non è stata proprio una buona idea quella di iniziare a mezzogiorno), tutto sommato posso ritenermi soddisfatto. Ma qui arrivano le prime difficoltà.
Il giorno di bicicletta. In bici ci so andare, almeno questo. Ho imparato senza rotelle all’età di cinque anni, con una Bmx di colore azzurro, manubrio in acciaio e plastica gialla, sella nera. Prendo la bici e, da fan sfegatato quale sono del Pirata Marco Pantani, metto una bandana di colore nero. Anche questa scelta si rivelerà poco felice, considerando sempre il sole alto e forte di questi periodi. Mi avvio al percorso già scelto in precedenza ed inizio a pedalare col rapporto più agevole. Una bella pedalata fluida, con centoventi colpi al minuto. Il primo minuto. Nei tratti di leggera discesa oso addirittura rapporti più pesanti. I polpacci sembrano non risentirne. Nei primi trenta secondi. Decido di rallentare, accingendomi ad affrontare al meglio il chilometro di salita. Diciamo salitella, che è molto più realistico.
Scorgo la mezza rampa e subito sorgono in me tanti ricordi. Pantani che prima di partire gettava la bandana e poi via, come un fulmine a seminare avversari. Sulle Alpi, sugli Appennini o sulle Dolomiti. Allora mi faccio coraggio. Tolgo la mano destra dal manubrio e mi tolgo la bandana. Non la butto, pure perché ne posseggo solo altre due. La infilo in una tasca. Mi alzo sui pedali con il rapporto più leggero e… nell’ordine mi appaiono sei madonne (ho riconosciuto quella di Pompei, quella dell’Arco, quella di Medjugorje e la madonna nera di Loreto), Gesù con la borraccia in mano che all’ultimo istante me la toglie da sotto il naso, Coppi e Bartali a bordo strada che mi deridono, Lance Armstrong che prova a vendermi delle medicine e Adriano Dezan, generalmente pacato, che mi insulta in malo modo.
Un po’ me l’aspettavo. Non di incontrare tutta questa gente famosa, no. M’aspettavo di non essere pronto per questo genere di sforzo. Però, prima di cedere del tutto, riesco a resistere e stringendo i denti porto a termine quel chilometro in leggerissima salita, con la promessa che prima di un mese non mi ci accosto più.
Dopo la salita, è risaputo, c’è la discesa. E come il Paolo Savoldelli dei giorni migliori, mi fiondo in posizione aerodinamica (posizione a cufaniello) verso la valle, continuando a gironzolare a velocità medio bassa per un’altra oretta. Il risultato finale è stato: gambe pesanti, dolore leggero al fondoschiena (sì, proprio il culo) e sella impennata (devo risolvere assolutamente questo problema).
Insomma, sono partito col piede sbagliato, ma resto convinto che sia questa la strada giusta da percorrere per tornare dopo un decennio sotto il quintale.