Riviera dei Cedri, Oro sotto i piedi
La Riviera dei Cedri è formata da 22 paesi, in provincia di Cosenza, alto Tirreno, che iniziano quando la Campania è un ricordo ancora recente, e la Lucania è appena alle spalle.
Arrivarci da Nord implica l’addentrarsi lungo le strade tortuose della statale 585, lasciando a Lagonegro la Salerno – Reggio Calabria, e poi giù verso il mare; saranno trenta chilometri. Trenta chilometri di curve, mulattiere, ingorghi, inversioni, interruzioni e Tir col loro traffico selvaggio, passaggi a livello, venditori di cipolle, ponti incompiuti, case cantoniere e botteghe ambulanti con frutti di stagione, funghi e peperoncini rossi.
Trenta chilometri di discesa infinita verso il mare, un mare che già si vedrà dominare l’orizzonte dai precipizi; quel mare blu cobalto come solo nell’alto Tirreno sa essere. Da qui provengono oltre due terzi della produzione nazionale di cedri, quei grandi limoni ruvidi e callosi che limoni non sono, dal sapore meno aspro, la cui coltivazione è così importante da queste parti da averne forgiato nome e toponomastiche urbane: il Cetraro che ci aspetta, deve il nome proprio alla sua vocazione ad esser capitale del Regno dei Cedri.
Se non mi fossero concesse che tre parole per descrivere il soggiorno da queste parti e così concludere questo racconto, queste non potrebbero essere che: incanto, opportunità. E spreco.
Se non mi fossero concesse che tre parole per descrivere queste parti queste sarebbero incanto, opportunità, e spreco
Gli 80 chilometri tra Tortora e Paola sono uno dei litorali costieri più incantevoli della penisola, magnifici per colore, temperatura e pulizia delle acque, e insieme uno dei meno valorizzati in assoluto, quasi del tutto privo di stabilimenti balneari, in un deserto d’iniziativa imprenditoriale che può spiegarsi solo con la endemica e capillare compromissione del territorio agli interessi malavitosi della criminalità organizzata.
Eppure, qui c’è tutto: i fondali di Scalea e le spiagge di Praia a Mare, la montagna dolce di Tortora e la collina di Grisolia, Guardia Piemontese con le sue Terme e il suo straordinario dialetto occitano, parlato altrove solamente nel sud della Francia e sui Pirenei spagnoli, oltre che in alcune vallate del Piemonte; Diamante con le sue spiagge, il suo straordinario Tartufo e l’eccellenza del peperoncino calabrese; Papasidero con le sue pitture rupestri che non fanno rimpiangere d’andare a Lascaux; i fiumi Argentino e Lao lungo i cui corsi incontaminati, interni al Parco del Pollino, è praticamente assente l’attività umana, e dove si possono praticare rafting e tutti gli sport fluviali che si vogliano.
Gastronomia, sole, mare, cultura millenaria si intrecciano in una striscia di territorio che si percorre in auto in tre quarti d’ora.
Eppure, manca tutto. Le infrastrutture finiscono prima di cominciare, le luci per strada seguono i ritmi della natura, le spiagge sono libere e non attrezzate, l’ospitalità alberghiera è ferma al palo dai grandi fasti degli anni ’80, i pochi ristoranti e le attività commerciali ancora in attività sono portati avanti con spirito pionieristico da imprenditori che hanno sviluppato la coriacea sembianza degli eroi.
Uno che non s’arrende, e che ti ripete,insistente come un disco rotto: “Abbiamo l’oro sotto i piedi”.
Insistente e caparbio, con gli occhi lucidi di chi porta con sé il dolore della disillusione, come se avesse qualcosa d’irrisolto nel cuore. Come se dopo mezzo secolo di chiamate rivolte al suo territorio si fosse reso conto che niente, questa terra è cieca, è sorda, è muta. Non risponde, non sente, non vede. Forse non merita. Ma lui la guarda, e continua ad amarla. Le soffia leggero la polvere da dosso, e ancora: “Vedi come luccica appena soffi via un po’ di polvere? Abbiamo l’oro sotto i piedi”.
La sua attività risplende della gentilezza e dell’ospitalità del Meridione, ferma anch’essa ai fasti del decennio precedente, ma non nel desiderio di restare al passo, di mettercela sempre e comunque tutta. Ebbene, ci riesce benissimo. La ristorazione è di primissimo ordine, un tripudio di sapori e un concerto armonico di gusti servito con una classe che meriterebbe riscontri sulle guide turistiche più pregiate. Indimenticabile il dessert, di sua invenzione, con tanto d’ingrediente segreto, come nella migliore tradizione gastronomica.
All’esterno dell’Hotel un carrubo millenario fa splendida mostra di sé, inerpicato tra i viali dello ZooArt, un’altra delle creazioni di Pino Quercia: un parco a tema preistorico che propone opere artistiche realizzate con una tecnica brevettata che li rende praticamente inattaccabili dalle intemperie, come se avessero ereditato parte della scorza dura del loro creatore.
Uno spazio artistico a cielo aperto dove si possono ammirare sculture di pavoni e serpenti, politici in gabbia e dinosauri d’ogni specie. Uno spazio donato al territorio ma che sembra regalo non gradito, laddove la presenza d’una meraviglia botanica della guisa del carrubo millenario sarebbe già sufficiente ad attrarre visitatori da ogni angolo del mondo. Che potrebbero accorrere lì solo per quello, se solo si facesse correre la voce. Se solo lo si volesse davvero. Se solo l’entusiasmo durasse fino al giorno dopo il taglio del nastro da parte del politico di turno. Se solo si fosse altrove, e non nella provincia dimenticata di Cosenza.
Si prende l’auto, pochi chilometri di distanza, verso il Porto di Cetraro: Potrebbe essere anche questo un’opportunità, il porticciolo turistico. Ma niente. Ristorante il Casello, già stellato Michelin, poi dato in gestione. Una delle sale è aderente al costone roccioso della collina prospiciente, e se ne serve da parete, in un suggestivo, geniale e unico gioco d’architettura d’interni. Sullo sfondo, uscendo, la parete rocciosa.
Di lì, inizia il viaggio affascinante all’interno del budello d’una galleria ferroviaria dismessa. Mezzo chilometro di cammino in un percorso suggestivo che è attualmente dedicato alla esibizione d’una trentina d’opere artistiche, punto di vista sull’evoluzione delle specie viventi nella preistoria: un’esposizione dal retrogusto darwiniano.
Tutto partorito dalla mente di Pino. Ma anche lì, ancora una volta, l’entusiasmo fu tradito. Mezzo chilometro di opportunità. Si potrebbe farne un’attrazione. Un dormitorio per turisti stranieri: l’hotel nel tunnel ferroviario. O una mostra d’arte permanente. Un museo ferroviario. Una location per sfilate di moda. Niente di tutto questo. Non se n’è fatto nulla, e dopo l’entusiasmo iniziale, i “me la vedo io” dei politici locali, le targhe le onorificenze e le attestazioni di stima, per un anno s’è atteso visitatori, vendendo a malapena un blocchetto di biglietti. Nulla di fatto. Si chiude.
Ma, “Capisci? Lo vedi? Abbiamo l’oro sotto i piedi”. Un paradiso d’opportunità, in questa terra di nessuno.
Andiamo a fare il bagno, nel blu cobalto del mare di Calabria, in questa terra che t’ammalia come una strega cattiva, e che ti lascia l’amaro in bocca del gusto delle occasioni non colte. Terra di nessuno, dove al rimpianto sembra si preferisca il rimorso.
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Posted by Hotel Ristorante La Carruba on Domenica 5 luglio 2015
(foto in apertura di Renato Giordanelli)