Questo matrimonio non s’ha da fare
Questo matrimonio non s’ha da fare. Così, secco secco, l’Innominato decide di rendere la vita impossibile a Renzo e Lucia ne I Promessi Sposi. Oggi si può dire lo stesso, ma con una frase ben diversa: Sei invitato al nostro matrimonio.
Una buona dose di saliva
sposarsi è un rito di ufficializzazione, non di passaggio
Non puoi mancare! Ci teniamo così tanto…
Buia rassegnazione all’inevitabile supplizio.
Il problema non è il matrimonio, ma quello che ci sta dietro. E davanti. Sopra e sotto. La lista degli invitati, il ristorante, il menu del ristorante, la disposizione dei tavoli. Il vestito della sposa e il vestito dello sposo. I fiori, i regali, la torta, il bouquet. La chiesa, il corso pre-matrimoniale, i testimoni e gli anelli. Il riso da lanciare (meglio Arborio o Carnaroli?). Rosa o lilla per le damigelle? Confetti tradizionali o al cioccolato?
Mesi, anni di preparativi per rendere perfetto un giorno che piuttosto dovrebbe essere magico. Ma specialmente: che è poi un giorno. Nulla contro il desiderio di ufficializzare un’unione – certo, se poi fossimo in un Paese dove tutti possono farlo sarebbe ancora più lecito e naturale -, ma l’impressione è che sfugga il senso della cosa. Spose deperite e isteriche per far quadrare il numero di invitati o per l’ansia del meteo il giorno del sì. Sposi che invitano a casa (una pizza fuori i mesi prima del banchetto non se la possono permettere) gli amici e anziché di calcio o di sesso iniziano a parlare di pacchetto deluxe o pacchetto premium per il weeding plan.
Un tempo sposarsi significava cambiare vita: passare dalla famiglia natale alla propria, intesa come costruita ex-novo. Adesso, per fortuna degli sposi (e sfortuna degli avvocati divorzisti), la maggior parte dei fidanzatini ha la decenza di convivere per un periodo prima del matrimonio, in modo da testare la funzionalità della vita di coppia strizzata entro quattro mura. Per questo sposarsi è un rito di ufficializzazione, non di passaggio.
Alcuni decenni fa buona parte della popolazione viveva in condizioni, se non di ristrettezza, quanto meno di sacrificio. Non si usciva spesso a cena con gli amici e non era scontato andare in vacanza (non lo è più nemmeno ora, ma qui la crisi ci ha messo lo zampino). Insomma, la gente attendeva i matrimoni per divertirsi (sembra incredibile) e specialmente per bere e mangiare fino allo sfinimento. A scrocco.
Adesso non si può più avanzare questa scusa. Nel bene o nel male, siamo più verso la punta che alla base della piramide dei bisogni di Maslow. Difficile andare a dormire con la fame, a meno che non siamo a dieta. Incomprensibile, dunque, che il nostro obiettivo sia partecipare a un banchetto nuziale per bere e mangiare tanto da farci scoppiare lo stomaco. Non siamo cammelli che accumulano risorse per poi rilasciarle goccia a goccia nei giorni successivi. Non ci guadagniamo nulla.
Ne consegue che i matrimoni sfarzosi non sono solo fuori luogo, ma anche fuori tempo. Un’usanza talmente inutile da mostrarsi in tutta la sua paradossalità: onerosa tanto per gli sposi quanto per gli invitati, che molto spesso si sentono in obbligo di sborsare somme proibitive per il regalo.
Ma la motivazione – e questo chiarisce il sentirsi obbligati al posto del volere – non è il forte legame affettivo verso chi convola a nozze, bensì (anzi, malsì) il fatto che Tizio e Caia abbiano speso cifre esorbitanti per il banchetto e debbano quindi essere in un certo modo ricompensati. La domanda è: chi ha chiesto loro di spendere decine di migliaia di euro per qualche manciata di ore? Di sicuro non gli amici, che alla notizia del lieto evento abbozzano un sorriso tra il panico e il disgusto. Forse giusto il trisavolo che ha patito i tempi di guerra.