Salmone avocado e bacche di Goji
Per me cucinare con ingredienti che non padroneggio è un po’ come inventarmi una lingua nuova e non impararne una esistente – non sempre. Il mercato globale ci porta fin sotto casa specialità da ogni angolo del mondo e ammetto che, con una vena di facile esotismo, amo entrare in negozi filippini o polacchi, romeni o mediorientali ed osservare cibi di cui ignoro il sapore, additare salse di cui non so decifrare gli ingredienti. Talvolta ne compro alcune e le faccio mie assaporandole senza prima indagare sull’uso che se ne fa tradizionalmente, altre volte invece le assaggio soltanto in seguito ad un’analisi quasi filologica di storia, provenienza, usi in cucina e tradizioni ad esse legate.
Per me cucinare con ingredienti che non padroneggio è un po’ come inventarmi una lingua nuova.
Un azzardo ben riuscito è stato quello in cui ho deciso di fare uso delle ormai inflazionate bacche di Goji, le cui proprietà sono decantate -e forse gonfiate- ovunque e online in primis. Vi propongo oggi questa ricetta profana, messa insieme ignorando proprietà benefiche, storia, saperi antichi e basandomi soltanto sugli abbinamenti di sapore, che sono risultati eccelsi.
Salmone in fantasia arcobaleno
Ingredienti:
- Salmone semi affumicato appena scottato (lo ho comprato al Tuodì già pronto, c’è al pepe, naturale o all’aneto)
- Avocado
- Aglio
- Cumino
- Qualche fettina di arancia
- Una fetta di pane spessa almeno 1cm
- Bacche di Goji
- Patate
- Menta
- Limone
- Olio, pepe
- Aneto
Lessate le patate, pestate l’aglio con la menta e il limone, unite abbondante olio e le patate lessate e schiacciate. Mantenete il preparato a temperatura ambiente. Scaldate appena il salmone semi affumicato, spolveratelo di pepe e aneto. Grigliate la fettina di pane. Schiacciate l’avocado con il cumino e grigliate qualche fettina di limone. Lasciate che le bacche di Goji si ammorbidiscano in un goccio di acqua calda. Componete poi il vostro piatto: fetta di pane spalmata con crema di avocado e cumino, poi il salmone e le bacche ammorbidite. Versate un filo d’olio sul salmone e, volendo, un goccio di glassa di aceto balsamico. Le fette di arancia potete disporle tutt’attorno a decorare, a lato le patate alla menta. Un piatto fresco, un pasto completo.
Ho parlato di ingredienti nuovi usati come una lingua inventata, e non posso non citare chi invece una lingua nuova l’ha voluta imparare, gettandocisi dentro quasi come in un legame amoroso. Anzi: è il caso di togliere il “quasi”. Parlo di Jhumpa Lahiri, da poco ospite del Festival delle Letterature a Roma ed autrice del recente “In altre parole” (Guanda), primo libro che ha scritto in italiano – raccolta di articoli comparsi su “L’Internazionale”.
La citazione:
“Descriverei il processo così: ogni giorno entro in un bosco con un cestino in mano. Trovo le parole tutt’attorno: sugli alberi, nei cespugli, per terra (in realtà: per la strada, durante le conversazioni, mentre leggo). Ne raccolto quante più possibile. Ma non bastano, ho un appetito insaziabile”
J.Lahiri, In altre parole
Questa fame di parole, questa curiosità insaziabile è un giusto punto di unione fra la forza che spinge me nei supermarket-bazar di mercanzie misteriose e ciò che l’autrice esemplifica nel corso degli articoli attraverso metafore sempre nuove, ovvero il suo apprendimento di una lingua facilitato dal rapporto d’amore che la fa tendere continuamente verso essa e resistere nel tentativo di appropriarsene nonostante le difficoltà incontrate nel tragitto.
Questa attrazione verso qualcosa che non ci è dato sapere, l’avventurarsi di Jhumpa Lahiri verso un italiano che non è lingua madre né lingua veicolare, è paragonabile forse -o forse pecco di scarsa umiltà?- al mio sondare cucine che non sono né paterne -ovvero libanesi- né materne -ovvero italiane. Sì: la Lahiri mette da parte sia inglese che bengalese per farsi madre dell’italiano. Ma il suo è un rapporto di amore, il mio è vezzo e curiosità, estro creativo che spesso si ferma lì, un passo prima dell’approfondimento, perché se manca l’amore totale crolla anche la voglia di approfondire, ed io mi sposto subito verso altri mari, altre spezie, altre cucine, per esplorarle e farle mie, contraffacendole un po’.