La metamorfosi di una violenza
Il mito di Apollo e Dafne, così dolcemente descritto da Ovidio nelle sue “Metamorfosi”, è quanto mai attuale. Ogni giorno i telegiornali annunciano ingiustificati atti di violenza sulle donne, specialmente in ambito familiare e quasi sempre a sfondo sessuale. Il mito di Apollo e Dafne può essere letto come una sorta di invito a riflettere sul rapporto uomo-donna.
“Dopo aver ucciso il serpente Pitone, Apollo si sentì particolarmente fiero di sé, perciò si vantò della sua impresa con Cupido, dio dell’Amore, sorridendo del fatto che anche lui portasse arco e frecce, ed affermando che quelle non sembravano armi adatte a lui. Cupido indignato, decise allora di vendicarsi: colpì il dio con la freccia d’oro che faceva innamorare, e la ninfa, di cui sapeva che Apollo si sarebbe invaghito, con la freccia di piombo che faceva rifuggire l’amore, per dimostrare al dio di cosa fosse capace il suo arco. Apollo, non appena vide la ninfa chiamata Dafne, figlia del dio-fiume Peneo, se ne innamorò. Tuttavia, se già prima la fanciulla aveva rifiutato l’amore, dedicandosi piuttosto alla caccia come seguace di Diana, essendo stata colpita dalla freccia di piombo di Cupido, quando vide il dio, cominciò a fuggire. Apollo iniziò allora ad inseguirla, elencandole i suoi poteri per convincerla a fermarsi, ma la ninfa continuò a correre, finché, ormai quasi sfinita, non giunse presso il fiume Peneo, e chiese al padre di aiutarla facendo dissolvere la sua forma. Dafne si trasformò così in albero d’alloro prima che il dio riuscisse ad averla, egli, tuttavia, decise di rendere questa pianta sempreverde e di considerarla a lui sacra: con questa avrebbe ornato la sua chioma, la cetra e la faretra; ed inoltre, d’alloro sarebbero stati incoronati in seguito i vincitori e i condottieri.” (Le Metamorfosi, I, 452-567).
In Dafne troviamo una donna vittima del desiderio accanito e possessivo di Apollo, che pretende di soddisfare la sua volontà senza curarsi della sofferenza di lei. Il sentimento può sconvolgere la ragione, ma certamente quello di Apollo è un sentimento malato di assurdo e violento desiderio di possedere ad ogni costo, probabilmente per dimostrare anche la sua potenza. Molto spesso accade di sentire la notizia del marito che non accetta la separazione voluta dalla moglie e che per questo preferisce rovinare la vita o, addirittura, porre fine alla vita della donna, piuttosto che vederla in futuro con un altro uomo. Tra odio e amore il confine è sottile. Queste persone non sono in grado di elaborare un rifiuto e, non riuscendo a contenere la rabbia e la sofferenza, arrivano ad una selvaggia violenza.
L’artista che seppe meglio rappresentare questo mito è indubbiamente Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 7 dicembre 1598 – Roma, 28 novembre 1680), scultore, architetto e pittore italiano. nessuno, ha il diritto di possedere un altro essere vivente. L’amore deve essere l’unico motivo che ci lega ad una persona.
L’osservatore doveva entrare in uno spettacolo teatrale, in cui gli attori erano le “statue viventi”. Anche per questo motivo, nella rappresentazione del mito di Apollo e Dafne, scelse il momento cruciale dell’azione: quando Apollo raggiunge la ninfa e questa si trasforma in alloro.
Al movimento dell’azione si associano le emozioni e tutto si fonde in quella magia della metamorfosi con cui Bernini immagina la favola antica. Da un blocco di marmo l’artista riesce a far fuoriuscire la velocità dei movimenti ma anche la psicologia dei sentimenti. Nel volto di Dafne si possono facilmente decifrare l’angoscia e lo sconforto, la sensazione di essere perduta, di non aver vie di scampo.
Rincorsa da Apollo, che resta impassibile in quanto dio razionale, Dafne si protende in avanti, per scappare. La sua metamorfosi si compie: gambe in forma di tronco, piedi in radici, mani e capelli in forma di foglie d’alloro.
La presenza di questo gruppo scultoreo, raffigurante appunto un mito pagano, in casa di un cardinale, venne giustificata grazie ad un distico moraleggiante, composto in latino dal cardinale Maffeo Barberini, ed inciso nel cartiglio alla base della statua dal Bernini stesso. Il distico recita: Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae fronde manus implet baccas seu carpit amaras, cioè, Chi amando segue le fuggenti forme dei divertimenti, alla fine si riempie la mano di fronde e coglie bacche amare.
Proprio del Bernini parlano le otto puntate che Rai5, ogni mercoledì, dal 7 gennaio al 25 febbraio, trasmette alle 21.15. L’arte in prima serata dunque, un vero traguardo! Colui che ci accompagna nella vita e nelle opere di questo immenso artista è un mio bravissimo professore dell’università, Tommaso Montanari. Le sue spiegazioni sono chiare, anche per chi non si è mai avvicinato al mondo dell’arte.
Tornando al mito di Apollo e Dafne, si può quindi arrivare ad una semplice conclusione: nessuno, ripeto, nessuno, ha il diritto di possedere un altro essere vivente. L’amore deve essere l’unico motivo che ci lega ad una persona. Per questo mi piacerebbe infinitamente che, nel momento in cui si sta per consumare una violenza, ci si potrebbe davvero trasformare in un albero di alloro. Vorrei poter vedere l’espressione del bastardo, che rimane a bocca asciutta. Oppure, meglio ancora, la metamorfosi potrebbe averla proprio lui. E mi fermo qui, perché la mia fantasia sa essere davvero esplicita e crudele quando vuole.