Tristezza, mia dolce tristezza
Ci sono volte in cui ci si mette davanti a un foglio bianco con le idee più o meno chiare, e altre in cui davanti a sé c’è un agglomerato indistinto di pensieri, sensazioni e ricordi difficili da fermare e imprimere su carta. Come in questo caso.
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Ascolto questa canzone in loop da almeno un’ora; dopo un’attenta selezione è risultata la perfetta colonna sonora per questo momento dannatamente triste. La sua struttura, ampia e cadenzata, scandisce il tempo delle vogate ai rematori della mia materia grigia, eroi, instancabili.
C’è un pericolo insito nell’ascoltare pezzi lenti con strutture ampie, e sta proprio in quella libertà dei pensieri di rimbalzare da una parte all’altra della tua testa, prima che la prossima nota, giungendo all’orecchio, li riassesti. Per questo amo quest’arpeggio di pianoforte, perché fa il suo dovere. Avete presente quei pezzetti di legno che si trovano tra le rotaie? E le tele dei ragni, con le loro perfette geometrie? Ecco, per me sono la stessa cosa: riempono, colmano, incastrano, accompagnano, proprio come queste note, guide illuminate che non scelgono la direzione ma si limitano a tenerti in piedi durante il tragitto. Ho imparato presto ad avere un buon rapporto con la tristezza, a vedere in lei l’altra faccia dell’amore – a volte neanche troppo distinta – eppure se qualcuno si illude di poterla aggirare, eludere, anche sublimandola, beh, che questo qualcuno si aspetti brutte sorprese.
Non importa quanto tu sia preparato, quanto tu abbia sofferto nella vita e quanto sia diventato bravo nel gestire la tristezza: quando arriva sei fottuto, e sempre allo stesso modo. Sei triste, senza “se” e senza “ma”. Stranamente, penso che neanche il processo creativo sia avvantaggiato dalla tristezza, il che sembra la cretinata del secolo se pensiamo all’infinita quantità di poesie e canzoni ispirate da sentimenti di tristezza, eppure a me le idee migliori sono sempre venute quando non provavo niente, proprio niente. Quando sei in preda a forti emozioni, siano esse gioiose o meno, manca quel minimo di principio organizzatore di cui anche una cosa così istintiva come la creatività necessita. In un certo senso sei troppo coinvolto per far venire fuori qualcosa di decente, magari potrai riuscirci qualche ora/giorno/settimana/mese/anno dopo (così, giusto per salvare tutti).
A parte questo sublimare resta il modo migliore, forse l’unico sano, per assimilarla (non eluderla, appunto). Si tratti di creare o di lasciarsi abbandonare alla musica di Bach. Non so se la tristezza abbia davvero un ché di poetico intrinseco o siamo noi a volerla vedere così nell’illusione che degli aspetti positivi ci siano sempre, ma suppongo non faccia poi tanto differenza, quello che conta è il risultato.
…quell’enorme distesa blu, così immensa da lasciarti pensare che in fondo tutto sia possibile.