V per Venditti
Notte prima degli esami, notti di polizia. Questo è uno dei ritornelli più cantati e ascoltati prima dell’esame di maturità. Di sicuro Antonello Venditti ha costruito gran parte del suo successo su questo pezzo. Pezzo utilizzato da tanti maturandi per esorcizzare la paura e l’ansia. Quello che nessuno studente ammetterà mai, è che quando manca la preparazione, hai voglia a cantare Venditti. In questi giorni si sono svolte le prime due prove scritte per centinaia di migliaia di studenti. Tante menti concentrate tutto in una sola volta. Come non capita nell’intero quinquennio. Insomma, un enorme spreco di energie per un esame che, di fatto, non vale quel che si dice. Ciascuno che già ci è passato conserva ricordi perlopiù nostalgici.
Correva l’anno duemiladue (2002), che è stato un anno davvero palindromo. L’ultimo da quel famoso 1991. Eravamo nel mese di giugno. Fuori un caldo di pazzi. Il caldo classico di fine primavera – inizio estate. Che poi non sono mai esistite le mezze stagioni. Ma trequarti, sì. In tutta sincerità devo ammettere di aver sempre studiato poco. Odiavo i programmi. Nelle materie umanistiche, quelle che non prevedevano traduzioni, andavo forte anche senza aprire i libri. In greco e latino avevo otto. Quattro allo scritto e quattro all’orale. Una carriera segnata da debiti formativi. Da questo punto di vista, la mia generazione (dal 1981 al 1984) si è trovata a cavallo di cambiamenti epocali. Non più rimandati a settembre, ma indebitati.
Un’istruzione finanziaria, se vogliamo. Con il debitore continuamente tenuto in allerta (con molti di noi non ha mai funzionato ‘sta storia) dal creditore. La chiamavano equiscuola. Alla fine dell’anno scolastico non sapevi se gioire per la promozione o iniziare a preoccuparti per il debito da saldare entro i due mesi successivi. In sostanza, credo che la scuola debba avere ancora tanto da me. Ma torniamo a noi. Correva l’anno duemiladue. La prima prova filava liscia come l’olio. Con i temi di italiano sono sempre stato un portento. Vabbe, portento. Diciamo che andavo forte. Mi bastava un minimo di conoscenza della materia in questione per tirarne fuori un bel lavoro. La seconda prova, invece, andava affrontata con un piano preciso: inginocchiarsi e pregare! No, scherzi a parte, mentre guardavo in maniera distratta la tv, seduto comodamente sul divano (ma oserei dire quasi nel divano) e sognavo già ricchi bagni nel caldo mese di luglio; prendevo la decisione di ostentare sicurezza. Arrivata la sera, iniziavo a preparami. Polo rossa d’ordinanza. Pantalone marroncino Armani jeans, stretto in gamba (che all’epoca c’avevo il fisico che accompagnava). Calzino nero “filo di Scozia” e scarpino elegante. Ma il colpo di genio era un altro. Quel dettaglio che rende tutto più realistico, più vero. Occhiale a goccia Ray Ban anni settanta. Ma anni settanta veri, non come i vintage truffa dei giorni nostri. Lenti a specchio nere che chi le fissava per più di tre secondi rischiava di finire in un furgoncino Volkswagen. Montatura dorata.
Un paio di occhiali che erano più che semplici occhiali. In effetti pesavano quanto un cucciolo di mastino napoletano. Ma quell’accessorio donava l’aria desiderata e la disposizione dei banchi mi permetteva un’entrata trionfale. Ultimo ad arrivare, come al solito, a pochi secondi dall’inizio, incedevo con fare sicuro nel mezzo del corridoio. A destra e sinistra i sorrisi (forse canzonatori, forse realmente divertiti) di tutti i miei compagni di classe. Mi accingevo a percorrere l’intero corridoio per andare a sfidare lo sguardo imperterrito (e rassegnato) dei professori, quando sentivo una voce: Vecchio’, addo vaje, assettate qua (Vecchione, dove vai? Siediti qui). Il mio compagno di classe che con voce sicura mi invitava ad occupare la penultima posizione della fila di sinistra, rovinando così la mia voglia di rivalsa sul corpo docenti. Nel sedermi, mi rendevo conto che, nonostante la mia (finta) indifferenza, andavo incontro ad una giornata terribile. Le versioni di latino, per quanto possa essere una lingua orecchiabile ma pur sempre morta, mi davano la noia (come quelle di greco, del resto). Le mie capacità d’improvvisazioni non mi avevano mai spinto oltre il cinque meno meno e tutto sommato sapevo di andare incontro ad una valutazione minima, pur considerando eventuali colpi di genio. Colpi di genio no, ma sicuramente colpo di culo. Il caso voleva che la versione scelta dai capoccioni Correva l’anno duemiladue (2002), che è stato un anno davvero palindromo. L’ultimo da quel famoso 1991. Eravamo nel mese di giugno. Fuori un caldo di pazzi.
Questo lo si capiva subito e lo si sapeva da prima. Quello che ho capito a distanza di anni è che quella stronza di matematica ce l’aveva con me! Scherzo. Nel senso che quella di matematica ce l’aveva davvero con me, ma l’ho superata subito come cosa. Ciò che ho realizzato dopo tredici anni è che quel diciannovenne abbastanza immaturo avrebbe potuto studiare di più se il corpo docenti avesse saputo stimolarlo in maniera efficace. E non vale solo per lui, ovviamente. In bocca al lupo a tutti i maturandi, e scegliete bene la vostra strada. Notteeee prima degli esamiii…