Maternity blues
Maternity blues è il titolo di un film straziante. A guardarlo si ha la sensazione di essere presi a calci in pancia a ogni fotogramma. Eppure, anche se è di qualche anno fa, è quanto mai attuale. Le tristi vicende di cronaca degli ultimi giorni hanno di nuovo scoperchiato il vaso di Pandora, e il sospetto più atroce cade sull’ennesima mamma.
Maternity blues apre gli occhi su un mondo oscuro, su una dimensione della realtà che nessuno mai vorrebbe esplorare. Quando le madri uccidono, qualcosa nel meccanismo che sorregge l’ordine delle cose si rompe. La mamma, quella persona che per nove mesi custodisce la vita nel suo grembo, quell’essere così forte da riuscire a sostentare due vite o più contemporaneamente, ma al contempo così fragile da crollare sotto il peso di un sentimento che si fa strada serpeggiando tra amore e istinto d’accudimento, la madre che si trasforma in carnefice, in assassina della propria prole.
Ma perché certe madri uccidono? Per una domanda così dolorosa non ci sono risposte univoche. Psicologi, psichiatri, eminenze grigie sciorinano tesi più o meno credibili. La madre, la donna, l’assassina.
Sono queste le protagoniste di Maternity blues, donne che amano, hanno amato, ma che sono state mosse da una ferocia insondabile che le ha spinte a uccidere i propri figli. E sono tutte lì, rinchiuse in un carcere, a incastrare le loro tristi storie come le tessere di un puzzle. Alcune donne rimuovono l’atto dell’omicidio. Cancellano l’evento come non fosse mai accaduto. Questo dicono gli esperti della sindrome di Medea, dicono anche questo. Difficoltà nel trovare la loro parte femminile accantonata per accudire il nuovo arrivato, ma anche un insano spirito di protezione, che porterebbe alcune madri a uccidere i propri figli, soprattutto da appena nati fino ai tre anni, per risparmiargli le sofferenze di questo mondo.
Vero o falso? Io personalmente non so dirlo, ma sono certa di una cosa, troppo si specula su questi drammi, sulla tragedia più abominevole. E così fioriscono i programmi TV che nemmeno le primule in primavera. Salotti di personaggioni e starlette che disquisiscono sul fatto di cronaca di turno. Facce contrite, ma solo per cercare una telecamera. Disgustoso.
Maternity blues no, come un bacio soffiato, un sospiro dietro un vetro, delinea con tratto d’acquarello l’infanticidio materno, ma senza risparmiare la fotografia cruda che riporta alla realtà. Da vedere senz’altro, non per giustificare, non per comprendere, e sicuramente non per assolvere, ma per avere una visione più ampia, non da salotto, non da talk show.
Così è quando a uccidere non è Caino, ma Eva.