A cosa serve la scuola?
Ma a cosa serve la scuola?
Se non si risponde prima a questa domanda, le altre questioni sono tecnicismi o temi sindacali. In realtà la domanda non è corretta, quella giusta è: a che cosa serve, o deve servire, la scuola pubblica. Si è insinuato nel pensiero nazionale un concetto pernicioso, ma astuto, capace di colpire la ragione. La scuola deve servire per preparare i giovani al mondo del lavoro.
Qualche governante in passato era arrivato ad affermare che la scuola doveva fondarsi sulle tre “I”: inglese, informatica, impresa. L’idea è astuta perché pare avere una sua logica, secondo un sillogismo apparentemente perfetto: Ciò che conta è il lavoro, bisogna quindi prepararsi a entrare con efficacia nel mondo del lavoro, e questo compito spetta alla scuola. Una specie di gigantesca scuola dell’avviamento.
Nessuno la ricorda più, ma un tempo in Italia c’era questo tipo di scuola per le classi meno abbienti, affinché i loro figli sin da giovani potessero trovare un lavoro modesto ma sicuro. Con buona pace di quello che viene oggi chiamato “ascensore sociale”.
Il compito della scuola, specie quella pubblica, è preparare cittadini, insegnare loro a studiare, a capire, a analizzare, a non farsi infinocchiare, ad avere senso critico per poter dire la propria opinione con cognizione di causa
Tutte le professioni e i mestieri si possono imparare a un certo punto della vita, ma se non ti insegnano e non ti aiutano a pensare con la tua testa da giovane, è probabile che non lo farai mai più.
E di questo non si parla. Le riforme chieste o proposte in genere puntano a sistemazioni organizzative, sindacali o di gestione. Non c’è una parola sul futuro culturale dei ragazzi. Un tempo non lontano avevamo una scuola secondaria che era un vanto internazionale: eravamo deboli sull’università, ma sulle medie e le superiori non ci batteva forse nessuno.
Ma questo è un tema troppo teorico, diciamo filosofico-ideologico. Meglio restare sul pratico. Perché non c’è nulla di meglio, che si sposi con la pratica, come l’ignoranza e la rinuncia a pensare.