Certezza della pena
Uno scrittore polacco, noto soprattutto per un migliaio di aforismi (Stanislaw Lec), ha scritto: “L’indignazione non può mai essere così profonda da non esplodere”. Una sintesi brillante del nostro spirito nazionale. Perché non c’è dubbio che non vi sia popolo più aduso all’indignazione. Basta guardare le manifestazioni di piazza: ci sono sempre dei cartelli con la scritta “vergogna”, sempre buono in ogni occasione, come la scritta gigante “No”.
Ci indigniamo per tutto, dal parcheggio in doppia fila, se l’auto non è la nostra, alla raccomandazione se non ci riguarda. Per non parlare della corruzione: una indignazione smisurata ci coglie, ma sotto la mal celata invidia che l’astuto suscita sempre, per quella sfacciataggine che non abbiamo per agire nello stesso modo.
Quasi una vergogna per l’onestà costrittiva che ci affligge, figlia del timore (e dell’incapacità) più che della sobrietà. Guardiamo con sospiri altri paesi dove questi reati sono minori in numero e ben puniti. Li guardiamo come mete irraggiungibili, come luoghi arcadici forse frutto della fantasia, neppure esistenti nella realtà.
“Eh, purtroppo noi siamo diversi” , come se la genetica evoluzionistica ci avesse condannati a restare così, senza speranza. Eppure non è poi così difficile trovare una via credibile e funzionante. La soluzione non sta nell’incremento delle pene o magari nell’allungamento della prescrizione. Ma nella certezza della pena, nel rischio elevato di essere scoperti, nella eliminazione di tutti i cavilli che permettono ai processi di durare all’infinito.
“L’indignazione non può mai essere così profonda da non esplodere”
(S. Lec)