Il giovane Sindaco
Il giovane Sindaco, ormai mi chiamano tutti così. Non so in quanti diano a questa definizione un che di positivo. Da noi ormai siamo abituati a riconoscere il merito a chi ha una rete, una rete di conoscenze che a me ha sempre dato l’idea di una ragnatela, e noi tutti stupidi insetti che vediamo il bello nel ragno famelico. Oggi si tirano le somme, nel vero senso della parola. Oggi si conta, si mettono i numeri uno sopra l’altro e non è affatto certo che vinca il migliore. La politica è diventata una gara, ma nulla a che fare con l’agone nobile dei cavalieri. Il codice sportivo non esiste, il rispetto dell’avversario è sconosciuto. Si gioca a distruggere l’altro e se poi gli argomenti sono fasulli, poco importa. In questi giorni che girano come una trottola il tempo per riflettere è poco e abbindolare l’elettore è cosa facile.
Gli scivolosi spaghetti ai frutti di mare mi hanno riempito il sangue di zuccheri vitali, l’alcool leggero del bianco della mia terra mi ha alleggerito i pensieri, la risata della donna che amo mi ha ripulito dai dispiaceri
Oggi è il primo giorno di un mese a me caro, oggi è un principio e sto sperando con tutte le viscere che sia un segnale, che questa giornata porti la gente per le strade, che il paese si riempia di persone. Vorrei tanto che tutti si toccassero, si mischiassero, si riconoscessero, si unissero sotto la stessa identità. Vorrei che oggi iniziasse la festa dei sorrisi, degli abbracci, dello scambio, delle parole. Vorrei che il tepore di questo sole potessimo sentirlo anche d’inverno, e chi se ne frega della pioggia e del gelo.
Ci sono candidati, attivisti, elettori. Neppure i bambini mancano. È un vociare senza sosta, sento risate, esclamazioni di saluto, battute. Qualcuno cerca ristoro sui balconi, ma è un attimo, li vedo rientrare per chiedere di nuovo a che punto siamo
Nello stato in cui sono meglio tornare di sopra: nessun computer, nessuna connessione. Meglio così. Ho bisogno di pensare, di vivere tranquillamente la mia paura. Sì, ho paura, ne ho davvero tanta. Ho parlato con una signora anziana l’altro giorno. Mi ha chiesto di non tradirla, mi ha raccontato che aspetta da una vita che cambi il vento. Mi ha detto della sua delusione, mi ha parlato di come tutto intorno a lei sia mutato, di come qualcuno si sia lanciato in una corsa folle che ha lasciato indietro tanti, di come qualche avvoltoio ha abbracciato la causa di una modernità consumistica che ha coperto colori e bellezza, lasciando dietro di sé solo cemento scolorito. Mi ha raccontato dei sapori della sua terra che sono sepolti sotto anni di incuria, di menefreghismo, di tesori dimenticati poco utili alla logica di profitti immediati e tossici. Come lei tanti che si sentono in terra di nessuno a casa propria. Per questo ho paura. Non voglio e non devo deluderli. Devo rimanere freddo. Devo raccogliere i miei pensieri, metterli in fila, organizzarli. Andrò come un treno, spedito, su binari nuovi di zecca e mi fermerò nelle stazioni quando ci sarà bisogno di ascoltare, di capire. Di imbarcare altri viaggiatori e portarli con me ad assaporare un sogno. Sento le grida di sotto, mi sa che stiamo andando bene. Sono un unico fascio di nervi. Mi muovo lento come un automa. Quasi non ci credo che possa essere vero. Lancio uno sguardo in fondo alla stanza. La mia giacca è lì, appesa, ancora avvolta nella carta della lavanderia. È la mia preferita, comoda, scura ma informale. Fa un caldo boia, ma la indosserò nel caso dovesse succedere davvero.
Sento qualcosa che spinge forte negli occhi, saranno lacrime, ma le caccio via insieme ad una strana vertigine che mi fa perdere l’equilibrio
Sono frastornato, confuso, lusingato, orgoglioso, felice, sorrido, lo sento, sorrido con tutta l’ampiezza che la bocca mi permette. Mi sto sciogliendo in abbracci d’affetto. I ragazzi sono emozionati, vedo centinaia di occhi lucidi, di occhi che guardano a domani, al dopo. Mi accorgo che l’entusiasmo vero sta partendo adesso. Finora era stato solo impegno, sento che li avrò con me, tutti. Scendo a guardare i monitor. È tutto vero. Il mio tachimetro segna la velocità più alta. Sono davvero il giovane Sindaco. Oggi si fa festa, tutti insieme. Da domani si lavora.