Tutti al mare!
Non ho mai avuto un buon rapporto col mare, forse l’ho già detto altre volte. Questo fa di me una sarda atipica, nonché un’aliena per certi versi, definizione verso la quale faccio spallucce e che mi fa sbocciare un sorriso sbilenco che vuole significare “fattiifattituoichecampialungo”, così, tutto d’un fiato. Anche quest’anno inizia la nuova stagione estiva. Anche quest’anno la solita solfa della “famigerata prova costume”, anche quest’anno penso quello che si dice a Roma e dintorni, e sticazzi? Però vado lo stesso. Si, da 3 anni vado comunque al mare col quale ho firmato un armistizio per dovere materno. Un furto del territorio un po’ come la terra sottratta agli indiani d’America.
Ho fatto la mia prima comparsata sulle spiagge giusto un paio di giorni fa. Scelta azzeccata. Era una di quelle mattine in cui il maestralino suggerisce ai locali altre mete e sorprende i turisti ignari. Risultato: una lunga distesa di sabbia bianca che brillava sotto un sole ridanciano, ma non troppo arzillo, soffocato di quando in quando da ciuffi di zucchero filato cirriformi. L’acqua era uno spettacolare piano leggermente increspato, una distesa argentea che diventava turchese non appena il sole riusciva a sbarazzarsi delle nuvole dispettose. Il silenzio alternato al canto delle cicale che infestano la pineta antistante.
La spiaggia di Maria Pia è sempre stata una delle mie mete più quotate. Vuoi per la vicinanza con Sassari, vuoi perché è davvero una bella spiaggia. Ricordo quando ai tempi dei miei 16 anni la raggiungevo con un trenino che sapeva di far west assieme ai miei amici dell’epoca. Eravamo adolescenti che andavano alla conquista di quel sapore del mondo che solo quando hai 16 anni e sali su un treno sgangherato puoi provare.
Allora però la spiaggia mi sembrava molto più grande, e non è solo per l’erosione delle coste, ai miei occhi era davvero enorme, soprattutto quando ci andavo con i miei e sgattaiolavo con le amiche per la classica passeggiata sul bagno asciuga, momento cult per le dodicenni che vanno in giro a mostrare le prime piume serie. Ora le cose sono un po’ cambiate. Sono sbucati i bagni, una realtà che nel continente esiste da sempre, ma che qua in Sardegna è vissuta come un atto di ruberia. Un furto del territorio un po’ come la terra sottratta agli indiani d’America. Eppure quel furto, che furto non è, offre dei servizi a un turismo che da lavoro, o almeno questo è quello che ci raccontano.
Una signora grassa che sembra esser colata sulla sdraio, come sciolta dal sole, rompe i miei pensieri con un forte accento romano “E annamo Mario daje co’ sta scopa!”. Odio giocare a carte al mare, ma di più ancora odio chi ci gioca e mi rende partecipe di una cosa della quale non mi importa assolutamente niente di niente.
Vado a sentire la temperatura dell’acqua col piede. Immergo giusto un alluce timoroso. Panico, ma devo farlo, i miei problemi di circolazione mi obbligano a immergere le gambe fino al ginocchio e a fare una camminata in solitudine. Mi sembra di camminare tra lame acuminate che mi feriscono fino all’osso. Cerco di dissimulare, ma qualcuno dalla spiaggia mi guarda come fossi un’orca spiaggiata. Mio figlio mi rincorre e cerca di venire da me.
Vedo la sua sagomina irradiata dai raggi del sole. Due bambine tedesche dal fisico tipicamente teutonico giocano a palla in mezzo all’acqua, non curanti del gelo. I venditori ambulanti sfilano proponendo chi massaggi, chi bigiotteria, chi delle robe che non so nemmeno cosa siano ma che scopro essere carica batterie per il cellulare. Al che sorrido, guardo il mio che non uso da circa una settimana e che ricarico ogni 10 giorni. Niente da fare. Il romanticismo della spiaggia conquistata gettando lo zainetto Invicta a righe, con le cuffie del walkman inforcate mentre il tuo primo fidanzatino ti spalma la crema sulle spalle, è solo una polaroid dimenticata in soffitta.