Ode alla tastiera: una storia d’amore
Sono tornata dal mio eremitaggio in Butah (qui la foto esplicativa). Me ne sono andata perché avevo molto da dare, altrove. Perché a volte la vena poetica lascia il posto alle vene normali, se ne va con un flusso sanguigno, il cuore pompa altro sangue, nuovo, ordinario, incapace di pensare troppo alle cose, di scriverci sopra un pezzo.
Succede, a volte. Quando non sai bene che farci con questa cosa qui, la tastiera. A volte è lì che non ti dice niente e tu non le dici niente. Così esci, e vivi. In trepidante attesa che arrivi altro sangue da un cuore rinnovato, più creativo, più squilibrato.
Che, sappiatelo, chi scrive mica è tanto normale. È gente condannata a una vita di pensieri costanti e inarrestabili. Persone con le quali parli e a un certo punto sono altrove. Stanno pensando. Stanno scrivendo. Potrebbe sembrare una cosa da fighi, in realtà rasenta la psicopatia. Soprattutto quando tu, che hai sempre vissuto con quella voce nella testa, tutto a un tratto ti ritrovi da sola. Non che non pensi più alle cose. Però non ti viene da scriverle. E, sappiatelo, la gente che scrive non vive bene quando non riesce più a farlo. Come nelle migliori psicosi, una volta che passi la vita ad annoiarti da sola facendo le analisi al rumore che producono i tuoi piedi calpestando il tappeto di foglie d’autunno nei parchi, non puoi, semplicemente, troncare. È frustrante avere la vena poetica incastrata. Ti metteresti a saltare sulle foglie e a strizzarti il cervello per far tornare quella voce. Ma lei se ne è volata via col vento d’ottobre.
Winter is coming. Sì.
Così ho cominciato a vivere e basta cose che non ho scritto, e per questo quasi dimenticato. Ho calpestato foglie di un altro paese, per soli quattro mesi, che come succede a tutti mi sono sembrati sette anni. Chissà se Brad Pitt in Tibet c’è stato davvero sette anni, o è una cosa di cui si è convinto e nessuno ha mai avuto il coraggio di dirgli la verità. Insomma, ho fatto come Luigi Tenco:
“Perché scrivi solo cose tristi?”
“Perché quando sono felice esco”
E quindi, sono uscita. E mentre ero felice, aspettavo. Che la voce tornasse, che la tastiera mi sorridesse, che il cuore riprendesse il sangue dalla fonte originaria. Ho aspettato che succedesse quello che succede a uno che scrive: a un certo punto, non si sa come, ricominci.
Perché la scrittura è una bestia misteriosa, il lato oscuro della forza. A volte ti senti le dita piene di parole. Altre no, ma lo sai che poi ti metti qui di fronte, alla tastiera, e il resto lo fa lei. Altre ancora invece, niente. Tu alla tastiera non hai niente da dire e lei figuriamoci a te. Disconnessi come due estranei che si sono appena presentati e già non si sopportano.
Invece ora, ho un’altra tattica. La scrittura fa anche così. Capisci che non è sempre facile, è come l’amore. I tasti vanno corteggiati. Vieni qui e cominci a fargli una serenata. Ci danzi un po’ sopra, che non si sa mai. Non lo sai, a volte, anche con l’amore, cosa può succedere. Però qualcosa ti dice di buttarti. E così inizi a scrivere parole a casaccio, giusto per farli suonare, per dirgli che va tutto bene, sei tornata, dai, riprendiamo il ritmo. Come quando si fa l’amore, ci si accorda l’uno sull’altro, finché non viene fuori qualcosa, che può essere un disastro totale o la migliore delle opere d’arte.
L’accarezzi e la lusinghi, le dici che è proprio come te la ricordavi, bella, coi pulsanti un po’ ombrati. Riguardi anche quelle ombre, che sono le tue tracce. Le hai consumate tu a forza di ballarci sopra. Sono cinque anni di nottate, e giornate, e pomeriggi passati a fare l’amore, tu e lei. Quindi, come nelle grandi storie, quelle che vanno in crisi ma c’è ancora speranza, cominci a dirglielo.
Ti ricordi? Ti ricordi quando scrivevamo solo curriculum e a un certo punto abbiamo detto: basta, scriviamo delle storie sui curriculum! E sono partite le nottate sul nostro blog, e queste lettere se ne sono andate un po’ alla volta, sono rimaste appiccicate ai miei polpastrelli, tu mi lasciavi qualcosa di te piano piano, mentre io ti consumavo.
Eravamo così felici. Possiamo esserlo ancora. Come nelle grandi storie d’amore che cominciano e non sai come finiscono. O se. Ma tu ti butti lo stesso, come questo post, che non lo so se è una disgrazia o un grande successo, al momento sto ancora flirtando.