Expo 2015: il parco giochi delle critiche – Prima parte
Milano, maggio 2015 – Che si parli bene o si parli male, l’importante è parlarne, questo sembra essere lo slogan dell’Expo 2015, iniziata da soli 20 giorni.
A questo penso, mentre il treno sfreccia e si avvicina sempre più a Milano. È una giornata bellissima, sole e cielo limpido ci danno il benvenuto in Lombardia e alla stazione di Rho.
Che si parli bene o si parli male, l’importante è parlarne, questo sembra essere lo slogan dell’Expo 2015
Arrivando con il treno a Rho l’ingresso dell’Expo, Esposizione Universale dedicata alle sfide della nutrizione del futuro e al cibo come fonte di vita, è a soli cinque minuti a piedi. Certo, il primo impatto non è dei migliori: scopriamo subito che non è stato previsto alcun deposito bagagli, né alla stazione né all’interno dello spazio espositivo.
L’unica cosa da fare è trascinarsi sulle spalle lo zaino, per fortuna non troppo pesante. Dopo aver superato un controllo degno di un aeroporto internazionale, possiamo finalmente accedere all’enorme spazio espositivo dell’Expo: tredici chilometri solo per il viale principale.
Non siamo neppure all’ora di pranzo, eppure già si capisce che l’affluenza di pubblico è alta e costante. Il viale principale si perde all’orizzonte e non si può non sentirsi come in un enorme parco giochi dedicato ai Paesi del mondo.
Il primo padiglione che ci salta all’attenzione è quello del Nepal: un tempio fedelmente ricostruito e intagliato a mano nel legno. Le decorazioni sono stupende, ma la memoria va subito ai terremoti che hanno da poco colpito il Paese e, se anche per un attimo ce ne fossimo potuti dimenticare, il padiglione lasciato incompleto e il cubo di vetro destinato alla raccolta fondi ci riportano immediatamente alla realtà.
Ci accorgiamo ben presto che per entrare nei padiglioni più ambiti la fila e l’attesa saranno lunghe, decidiamo quindi di dedicarci prima a quelli che sembrano dimenticati dalla folla. Entriamo così nel padiglione del Vietnam, dedicato agli strumenti musicali tipici e alle rinomate decorazioni in lacca, e in quello della Malesia, nel quale viene ricostruita una foresta pluviale in miniatura.
Scopriamo con un certo stupore che il caffè, come noi lo conosciamo, nasce solo negli anni Trenta del novecento
Il viaggio non può non continuare, da brave golose, all’interno dei cluster tematici dedicati al riso, al cacao e al caffè. In particolare, nella grande area dedicata al caffè, una gentilissima e preparata hostess ci illustra le differenti piante della spezia più amata in Italia, le caratteristiche delle varie specie, i dettagli della raccolta e la leggenda sulla nascita del caffè. Scopriamo con un certo stupore che il caffè, come noi lo conosciamo, nasce solo negli anni Trenta del novecento, quando viene inventata la prima moka.
Nel frattempo ci è venuta una certa fame e il vicino cluster del riso ci tenta, proponendo diverse specialità a base di riso Basmati…come rifiutare?
Durante la pausa riflettiamo su questo primo impatto mattutino con la chiacchieratissima Expo. Le impressioni sono positive: per ora, togliendo la questione dei bagagli, ci hanno accolto organizzazione, gentilezza e divertimento. Ci rimettiamo quindi in cammino lungo l’interminabile viale principale, per raggiungere il colorato padiglione della Colombia.
La breve attesa in fila all’ingresso ci permette di godere di uno spettacolo di musica e percussioni all’esterno del vicino padiglione argentino: trascinate dai ritmi sudamericani, l’attesa non è affatto un problema, anzi ci dispiace quasi non poter seguire l’allegro corteo guidato dai musicisti.
Ma ormai è ora di inoltrarsi nel percorso realizzato dalla Colombia. Un simpatico steward ci spiega la nascita prima geografica poi storica della Colombia, accompagnandoci in varie stanze, ognuna dedicata a una delle ben cinque fasce climatiche della nazione colombiana. Il nostro interessante percorso si conclude poi di fronte ad un maxi schermo che proietta una canzone realizzata appositamente per l’Expo e cantata dalle principali star della musica colombiana. Una specie di “We are the World” in salsa sudamericana, insomma.
Ancora piene di entusiasmo ci mettiamo in fila su un sentiero bordato di fiori arancioni per visitare il padiglione cinese, spettacolare architettonicamente. All’interno però l’impressione è ben differente. Nessun accenno al tema dell’Expo, se non un’istallazione di luci al led che rappresenta un campo di grano, dal nome Il campo di grano della Speranza.
L’unica cosa da fare è cercare un po’ di relax nell’allegro bar colombiano, dove fra musica tipica e un frullato al maracuja sembra di essere davvero in vacanza
Forse iniziamo ad essere un po’ provate dalla temperatura elevata, l’umidità milanese e le lunghe attese in piedi con tanto di bagaglio al seguito. L’unica cosa da fare è cercare un po’ di relax nell’allegro bar colombiano, dove fra musica tipica e un frullato al maracuja sembra di essere davvero in vacanza. Questo piccolo momento di ristoro è assolutamente necessario per affrontare la sfida più grande: riuscire ad entrare nell’ambìto padiglione degli Emirati Arabi Uniti, considerato fra i più belli dell’intera Expo.
Fine prima parte […]