L’insegnamento del lupo
Ho conosciuto questo libro nel Massachusetts nel 2010, quando tra una ricerca di psicologia e l’altra, mi prendevo qualche minuto di pausa per leggere qualcosa di scelto e non imposto. E’ “Il lupo e il filosofo – lezioni di vita dalla natura selvaggia” di Mark Rowlands, edito in Italia da Mondadori.
Non ho in realtà moltissime parole per esprimere ciò che una lettura di questo genere ti lascia dentro. Come anticipa il titolo, non è solo il racconto di un uomo in simbiosi con un lupo, bensì sono le lezioni che apprendi leggendo la storia del rapporto d’amicizia e amore incondizionato tra uomo e animale, che ti avvolgono il pensiero fin dalla prima pagina. Anzi, oserei dire fin dalla copertina e dalla quarta di copertina. La prima infatti ci mostra l’immagine scattata di un lupo qualunque, uno di quelli che ti fanno tenerezza e che ispirano invidia da tanta bellezza su quattro zampe. La seconda è la foto del lupo in questione: un mezzo lupo e mezzo malamute, praticamente un gigante di pelo, abbracciato dal suo migliore amico umano. Attraversando tutto il libro si viene rapiti dai pensieri dell’essere umano che sembra esprimere a parole anche quelli del cane selvaggio… e poi arriva la fine, che spezza il cuore e allo stesso tempo rincuora. E’ possibile? Provare per credere.
Mi soffermerò solo su alcuni passi tratti dalla narrazione, quelli che ho sottolineato e ho riconosciuto come se fossero stati strappati dalle mie meningi.
A proposito di come le persone trattano le persone, un passo mi è particolarmente caro. E’ nominata la morale infatti, quella bistrattata parte sia dell’individuo come elemento della società che della società stessa come rappresentazione di una collettività. La morale è legata alla capacità di amare, di dimostrare la propria benevolenza nei confronti non solo di esseri umani, ma di esseri viventi in generale.
“Se noi uomini diamo un peso così sproporzionato alle motivazioni e se queste sono solo maschere che nascondono una brutta verità, allora, per comprendere la bontà umana, dobbiamo eliminare queste motivazioni. Quando l’altro “non rappresenta alcuna forza”, ovvero non ha potere, non si ha alcuna motivazione egoistica per trattarlo con civiltà o rispetto. Costui non può nè aiutare nè ostacolare. Non lo si teme e non si desidera il suo aiuto. In questa situazione, l’unica motivazione per trattarlo con civiltà e rispetto è di carattere morale: lo si tratta così perchè è la cosa giusta da fare. E la si fa perché ciò rientra nel genere di persona che si è.” [p.98]
Di conseguenza, non può esistere bene senza male. Non c’è cosa giusta se manca la cosa sbagliata, ma ciò che importa alla fine è sempre il modo in cui si agisce, lo scopo finale e i mezzi che si utilizzano per raggiungerlo.
“Come la vera bontà umana può manifestarsi solo in relazione a coloro che non hanno potere, così la debolezza (…) è una condizione necessaria della malvagità umana. (…) Gli umani sono gli animali che costruiscono la debolezza. Prendiamo i lupi e li trasformiamo in cani. (…) Indeboliamo le cose in modo da poterle usare.”[p.99]
Gli uomini non sono gli unici che trattano male i deboli o gli indifesi. (…) Ciò che è caratteristico degli uomini, però, è che hanno preso la crudeltà dalla vita, l’hanno perfezionata e poi intensificata.”[p.100]
A furia di essere -solo- uomini, con una morale per lo più gretta e meschina, orientata all’annientamento dell’altro per l’elevazione personale, non si diventa -come molti credono- più animali. Tutt’altro. Perché noi non viviamo nel momento come invece fanno la maggior parte di quegli esseri che vengono considerati inferiori solo perché facenti parte di una famiglia diversa dalla nostra sotto la classificazione scientifica. Noi aspettiamo e ci aspettiamo qualcosa. Restiamo delusi. Ci arrabbiamo. Rimuginiamo. Combattiamo per cause perse in partenza per convinzioni che sono solo nostre e che soprattutto non giovano al resto della comunità. Siamo pretenziosi, non ci gustiamo le piccole cose perché vorremmo sempre di più, e più ancora. Non ci facciamo bastare nulla, e quasi quasi non ci basterebbe nemmeno il cielo. Viviamo di emozioni date da momenti passati o da desideri futuri. Ci dimentichiamo di vivere il presente perché troppo presi dai tempi che ci sono prima o dopo, perché crediamo di farli nostri e se non li abbiamo allora non ci toccano, e sono “affari” degli altri. E stiamo male.
E invece come dice Rowlands “I momenti sono l’unica cosa che noi scimmie non possiamo possedere.” [p.218]
“Avreste dovuto vedere l’espressione dei miei tre cani quando, ogni giorno, cominciavo a dividere i pains au chocolat. L’attesa fremente, i fiumi di saliva, a concentrazione così intensa da essere quasi dolorosa. Per quanto li riguardava avrebbe potuto essere pains au chocolat da qui all’eternità. Per loro, il momento (…) era completo in se stesso, non contaminato da qualsiasi altro momento disseminato nel tempo. Non poteva essere nè accresciuto nè sminuito da ciò che era successo prima e da ciò che doveva ancora succedere. Per noi invece nessun momento è completo in se stesso. Ogni momento è adulterato, inquinato da ciò che ricordiamo o da ciò che ci aspettiamo.” [p.196-197]
Non vorrei svelare altro di questa scrittura che vale veramente la pena essere letta e compresa, non nella sua particolarità di storia vera, ma nella rappresentazione personale che ognuno di noi può trovare – anche gli amanti dei felini, per capirci – ripercorrendo certe scene, viste dagli occhi di uno di noi che osserva uno di loro nella sua maestosità animalesca e soprattutto morale, insegnandogli il vero significato di amicizia, condivisione, supporto e amore, quello vero. Il lupo, d’altronde, non può fare che questo. Un simbolo quasi sacro. Almeno per me lo è.
Mi sento quindi di concludere senza dilungarmi oltre perché sono già abbastanza eloquenti le citazioni tratte dal libro, e non posso congedarmi senza allegarne un’altra, quella che a mio parere, è da tenere lì, davanti agli occhi, in ogni momento della vita, per ricordarci che:
“Siamo al nostro meglio quando il pitbull della vita ci afferra per la gola e ci immobilizza a terra. E noi siamo solo cuccioli di tre mesi che possono essere facilmente sbranati(…) Ma dalle profondità del nostro essere sale un ringhio, un ringhio calmo e sonoro, che contrasta con la nostra tenera età e la nostra fragilità”. E ci fa alzare. E crescere.