L’amico d’infanzia
Lo conoscevo anche io l’amico d’infanzia di mio padre. Era un uomo difficile da giudicare, di quelli che si muovono nello spazio senza alterarne la forma, senza farsi notare troppo, e proprio come ha vissuto se n’è andato. Allegro, così si chiamava a dispetto della sua faccia imperscrutabile, era stato una presenza discreta nella vita di mio padre. Si conoscevano fin da ragazzi, anche se lui era molto più grande. La differenza d’età però non conta quando si hanno interessi in comune. Era stato Allegro a insegnare a mio padre a suonare la chitarra. Io l’ho conosciuto così, ma non ricordo precisamente in che occasione. Veniva a casa molto spesso quando ero piccola. Lo ricordo chino sulla cassa della Eko, mentre le dita scivolavano tra accordi e assoli sulle note delle canzoni di Battisti e degli Inti Illimani. Mio padre cantava con la sua voce aspra, El pueblo unido jamas serà vencido, ma non tanto perché davvero credesse possibili quelle parole, quanto per un gusto armonico di quel giro di accordi, semplice e orecchiabile.
Delle volte mia madre si innervosiva quando Allegro sembrava non volersene andare più e intanto si faceva l’ora di cena. Spesso si trattenevano assieme anche fino a tarda notte. Poi ci fu l’avvento della tecnologia e in questo mio padre era un po’ più avanti di Allegro. Aveva studiato il DOS e conosceva bene quei tasti che premeva con sicurezza uno dopo l’altro. Armeggiavano coi floppy, si scambiavano opinioni e lavoravano per delle ore a vecchi programmi che oggi, al confronto delle nuove tecnologie, hanno il sapore delle filastrocche per bambini. Era un tipo strano Allegro, mai allegro per davvero, ma nemmeno triste. Sembrava uno che si lasciava vivere, ma faceva parte del suo essere probabilmente.
I capelli bianchi e folti erano sempre in ordine, rigorosamente pettinati da un lato, come si usava negli anni ’70, scolpiti in una parrucca gommosa che mi ricordava il mio vecchio Big Jim. Odiavo quel pupazzo, ma ancora l’aitante Ken non era stato sdoganato e la mia bella Barbie vicino a lui sembrava una copia bionda di Romina Power con Al Bano. Era stato Allegro a insegnare a mio padre a suonare la chitarra.
Mio padre non parlava mai di lui con noi, né nel bene né nel male, e questo confermava la mia teoria che l’esistenza di Allegro fosse come quella di un mobile del nostro salotto a cui sei abituato da anni e non sai nemmeno più com’è entrato a casa tua.
Una cosa detestavo di Allegro, il suo profumo al pino silvestre. Quel profumo dozzinale e invadente che se una persona è poco carismatica te la fa notare per forza per il puzzo che emana. Quando veniva a casa mia il suo odore permeava ogni molecola d’ossigeno e restava li per giorni, anche se tenevamo le finestre aperte. Non pensavo sarebbe morto in silenzio e che lo avremmo saputo solo dopo alcuni giorni. Non so dire cosa abbia provato a mio padre, ma quando l’ho saputo io ho sentito di nuovo come incollato alle narici il suo profumo di pino silvestre.