L’insostenibile pesantezza della cervicale
Avrei voluto scrivere di tutt’altro, sono sincero. Avrei voluto piazzarvi sul laptop una serie di citazioni letterarie e rievocazioni storiche in modo da convincere voi e me che studiare serve pur sempre a qualcosa. Poi però la cervicale si è fatta sentire con il furore di un D’Annunzio degli anni migliori (prima e unica) e ciao ciao Petrarca & co. E allora mi sono detto: perché non dedicare qualche riga a noi che quando l’umidità supera il 10% (?) iniziamo a massaggiarci il collo, noi che quando tira il vento pensiamo già al triste giorno successivo. Massì, mi sono quindi detto, vediamo un po’ di che pasta è fatto quel maledetto “dolore alla cervicale”.
Avevo bisogno di ispirazione e ho scritto “dolore cervicale” su google. Quasi mi hanno convinto a comprare quattro pomate e cinque pastiglie. Tutta roba naturale, s’intende. C’era poi un video in cui una graziosa biondina muoveva la sua testina bionda con una cadenza talmente lenta e regolare che mi ha fatto capire che ella non solo non soffriva veramente di cervicale, ma forse, fortuna sua, la cervicale manco sapeva di che si trattasse. Perché chi soffre davvero di cervicale il collo non lo ciondola, lo fa vorticare a un ritmo così forsennato che manco fosse la centrifuga dell’insalata. Poi, quando la terra trema e la porta ci scherza su allargandosi e restringendosi, il sofferente si siede dove capita e attende che il mondo la smetta di girare per capire se almeno tutto ciò è servito a qualcosa. Come se non conoscesse già la risposta.
Rimane ancora un metodo, quello che io chiamo “click”: si appoggia una mano sulla parte alta del cranio e si fa forza in modo da spingere la testa verso il lato della mano utilizzata. La trazione dovrebbe generare, appunto, un “click” (talvolta un vero e proprio “crack”) che a tutt’oggi mi sento di definire una delle cinque cose più piacevoli che sono in grado di arrecare al mio corpo. Esistono innumerevoli varianti della tecnica del “click” che ogni cervicalopatico svilupperà in base alle proprie caratteristiche fisiche.
Il rachide cervicale è un complesso di ben sette vertebre che fungono da sostegno per la testa. Ora, non so se la mia testa sia poi così pesante (non mi ritengo a tal punto intelligente da ingombrare la calotta cranica di peso superfluo), ma talvolta ho l’impressione che quei miseri sette dischetti impilati uno sull’altro abbiano un carico ben superiore alla loro capacità.
Qualche giorno più tardi capii che i 150 cavalli del bolide di Arese erano finiti diretti sul mio collo, scalpitanti come non mai
Tutto iniziò con un tamponamento, una decina di anni or sono. La Punto sembrava non aver subito l’entrata da tergo di un’Alfa Romeo tutto motore e niente freni. Un parafanghi posteriore da buttare e nulla più. Qualche giorno più tardi capii che i 150 cavalli del bolide di Arese erano finiti diretti sul mio collo, scalpitanti come non mai. Da allora la cervicale iniziò a urlare il proprio disagio. Manco fosse l’assicuratore.
Si può fare l’agopuntura, le trazioni, i massaggi, consultare fisioterapisti, pranoterapeuti, osteopati, chiromanti, cartomanti, carrozzieri, restauratori, si può anche dimenticare la cervicale per un lungo periodo, ma una volta che si è insinuata, ivi rimane, talvolta solo latente e talvolta attiva più che mai. E allora non resta che l’immaginazione, percorrere quella parte alta di spina dorsale con la fantasia, immaginare di svitare uno ad uno quei sette dischetti, eliminare la morchia, oliarli, sostituire quelli usurati, registrare il meccanismo e ripartire con un collo a prova di Libeccio. E se nemmeno la fantasia offre un lenitivo alla dura realtà, comunque che di terapeuti non si parli, ma di un boia di altri tempi e di un bel colpo di accetta alla base del problema.
Il fatto è che la tensione emotiva, quella fiera contemporanea a cui si è dato il nome di stress, batte dove la vertebra duole. C’è un vulnus nel bel mezzo del mio collo (e scusate se continuo con la fantascienza) che funge da incubatrice di ansie e timori vari. Mettetemi davanti un gruppo di uditori dal ghigno severo e la critica facile, esponetemi al periodo di scazzi e intrallazzi meno produttivo che potete immaginare e tac! il dolore cervicale è servito.
Il fatto è che la tensione emotiva, quella fiera contemporanea a cui si è dato il nome di stress, batte dove la vertebra duole
E allora mi viene da pensare che, come sospettavo, quel peso immane che schiaccia il rachide cervicale non sia dovuto alla mia materia grigia, bensì alle miriadi di pensieri, parole, opere (da fare) e omissioni (fatte) che gravitano in questa capocchia e per una strana legge fisica passano direttamente dallo stato di antimateria a quello solido e pesante che rende l’onere della testa insopportabile al collo. Questa non è una spiegazione scientifica, ma mi aggrada di più delle vostre elucubrazioni midollari, cari figli di Ippocrate. Perché le manipolazioni recano sollievo, ma la vera cura agisce altrove, la vera cura è un’apertura da sistemare qualche centimetro sopra la vertebra più alta, una porticina che si apre quando dentro la pressione ha raggiunto livelli di guardia, o, semplicemente, fa troppo caldo.
E allora puffete. I solidi evaporano. La mente, non più oppressa, si libra leggera in aria come un aquilone. Il collo sentitamente ringrazia.