Discorsi mentali di automobilisti solitari
Click! Rumore sordo della chiusura centralizzata. Il timer di chiusura del vaso di Pandora è stato disinnescato (me lo immagino così, stile cassetta di sicurezza con tastierino e codice da digitare. Un vaso tecnologico). Pandora è anche la macchina…
Procedura inserimento corpo materiale nell’abitacolo inizializzata.
Scatto felino, posizione assunta -quasi- correttamente, (perché ad un certo punto una o l’altra gamba si sentirà indolenzita e dovrai risistemarti), inserimento dispositivo d’accensione, wroom.
E’ finita. E’ stato bello conoscervi.
Inizia il travaglio. Ma anche no, perché non è sempre così male affondare nei pensieri da automobilista solitario. Diciamo che tra i viaggi in macchina, le sedute in bagno e le soste interminabili sotto la doccia, di certo non mancano le occasioni per meditare. Si comincia, si accende la radio e per i primi venti secondi si ascoltano le canzoni che passano, a volte anche i cd o per i più fortunati si connette il dispositivo per gli mp3 e poi ecco che si presenta il viaggio mentale. Non si sanno esattamente il perché e il come delle attraversate psicologiche una volta inserita la quinta marcia. Forse è il fare attenzione ai lati della strada perché non ci sia qualche gatto depresso che in quel momento decida di suicidarsi, o un riccio distratto che si guarda intorno, stordito e che nonostante le luci dell’auto continua imperterrito la sua marcia e tu rallenti per fargli finire la traversata della Manica… Forse un motivo non esiste. Succede e basta. Per non pensare quando è una volpe a farti lo scherzetto sbucando fuori dal nulla, o qualsiasi altro animaletto sperduto che ti appare da qualche parte, ti prende un infarto e… “C’è mancato poco!”
Caricato il grilletto. Bazooka cosmico posizionato a livello tempie. Le ultime parole dettate dallo spavento hanno così azionato il conto alla rovescia della riflessione-bomba. Ogni volta cambia, ragionamenti sempre diversi e sempre contorti che quando è la fine pensi “ma, esattamente, com’è che ci sono arrivata qui?”
“Non è successo, è solo un sogno, adesso mi sveglio!”
Ecco sarà perché dormo poco e male che tendo ad incantarmi su pensieri mentre percorro strisce di asfalto nero, -in realtà scolorito, più tendente al grigio. E pensare che una volta si viaggiava su strade di terra battuta, con i cavalli. E non c’erano tutte queste case… mi immagino la scena, ma è quasi impensabile; ne sento la mancanza senza averla mai vissuta (o forse sì? Eh? Chi ne vuole parlare?) Sicuramente la qualità della vita era diversa, tanto che penso al quartiere accanto al mio, passato da una distesa di campi incolti dove venivano scaricati resti di oggetti di qualsiasi tipo che io, mio fratello e i cugini utilizzavamo per giocare, (cos’era Risiko? Crack? Hotel? Trovati nel mezzo del nulla, abbandonati come i rifiuti del Nord al Sud!) a zona residenziale che quasi mieteva le prime vittime molti anni or sono attirando i cuccioli del mio pastore tedesco nella vasca delle fondamenta delle case in costruzione – quasi ammazzandoli – … Fenomenale no? Avevo cominciato con una cosa, e finisco con un’altra. Come sempre mi trovo a dover fare mente locale per tornare al punto di partenza.
Quindi blink! Mi risveglio e mi accorgo di aver percorso già abbastanza chilometri. Passa una canzone che conosco, la canticchio, guido per zone conosciute, ormai potrei curvare ad occhi chiusi, e cado nuovamente in trans. Conosco le strade sì, conosco le persone, ma chi mi conosce veramente? E tu puoi onestamente dire di conoscere te stesso, o forse qualche dubbio ce l’hai? Perché io mi meraviglio di come sono spesso e forse mal volentieri, mi deludo o mi sorprendo, mai con costanza, attenzione! Poi quando risalgono alla mente ricordi di ogni genere, scene particolari, spesso quelle che non vorrei nemmeno venissero richiamate alla mente, non mi riconosco e la voce dentro di me dice “ma ero veramente io? Ma allora sono cambiata” e quindi iniziano altri discorsi mentali, quelli che se si è abbastanza pazzi e non curanti di quello che può pensare la gente che ci incrocia per strada, continuano indisturbati per tempo incalcolabile perché si dilata e si restringe come gli pare (chissà se le persone poi si accorgono che non stai cantando ma stai parlando da sola! Penseranno tu sia al cellulare con il vivavoce, o con gli auricolari -piuttosto invisibili direi- ma poi chi se ne importa). Perché arrivo al punto di parlare a voce alta anche se parlo con me stessa? E’ perché nonostante la radio accesa, i pensieri girano per il cervello ad un volume talmente alto che mi disturbano; abbasso il volume della musica e parlo con me medesima, a volte ridendomi pure in faccia per questo, ma cosciente del fatto che ciò potrebbe servire a fare un po’ d’ordine nelle strampalate idee che albergano in questa testolina.
Sono quasi a casa, mancano pochissimi chilometri e non mi sono nemmeno resa conto di aver già passato questo o quel punto del tragitto. E soprattutto, quante canzoni saranno passate? Mi capita di misurare il tempo in base alla lunghezza dei pezzi. Soprattutto se conosciuti, so più o meno quanto possono durare. Esempio: il tempo di posa della tinta a casa? Sono quasi cinque canzoni da circa tre minuti l’una. Sicuramente non è il caso di ascoltare i Tool, allora. Mi sballerebbero il conto. Non è colpa mia se nel mio viaggio mentale in macchina però la durata di tutto è sembrata un’eternità, passata in un istante. Possibile? Ossimoro temporale. La relatività del tempo è fastidiosa, molto spesso, quasi sempre. Relativo anche questo? Forse.
Arrivata, parcheggio il bolide (cara, la accarezzo spesso pregandola di non lasciarmi a piedi ancora per qualche anno almeno), e quasi con un mal di testa simile a quelli dopo un temporale mentale (di questo ne riparleremo), mi azzardo a scendere dall’auto in modalità zombie, caricandomi di eventuali borse, o sacchetti, o giubbotti, o scatole, o anche solo riprendendomi la dignità; quella che aveva cercato di scappare mentre parlavo da sola ma le serrature erano bloccate, perché di sera quando viaggio, non sia mai che ferma ad un semaforo mi arrivi qualcuno ad aprirmi gli sportelli salendomi in macchina (che ne so, avrò guardato troppi film thriller da piccola, vai a sapere). La mela non cade lontano dall’albero, cara dignità mia, quindi rassegnati a subire anche tu la bellissima sensazione dell’essere intrappolata in un luogo che non ti merita. Tiè.
Richiudo l’aggeggio infernale causa di tutti i miei problemi mentali, e anche non mentali, tra i quali le rate del finanziamento, il bollo, l’assicurazione e, non meno importante di questi tempi, il carburante. In automatico si spegne anche la mia spia per la modalità generazione automatica di flussi di coscienza/incoscienza, e mi dirigo verso la porta di casa. Click! Clong! (o meglio Tweet tweet, come immagino sempre suoni la chiusura centralizzata in stile auto americana della mia francese nata storta) e la bomba ad orologeria è di nuovo sotto chiave, posso tornare tranquilla nei mie luoghi.
La serata non è stata poi così male, o, forse, è proprio perché era stata una bella serata, magari diversa dal solito, che mentre torno a casa il cervello inizia a frullare frappè di riflessioni assurde, ma che in qualche modo vanno ad insinuarsi negli angoli reconditi della mente andando ad attrarre altri pensieri ed altre considerazioni che inevitabilmente portano a lunghe, lunghissime digressioni sul… nulla.
Prima di dormire però c’è tappa bagno! Urlo mentale alla Shining. Una doccia magari? Ecco, come sul film “Lo Squalo” quando si avvicina il pesciolino docile in cerca di amici (suvvia che scherzo!), i pensieri si preparano e Zan zan, zan zan, zan zan zan zan zan zan …