Le ore passano che neppure te ne accorgi
Le ore passano che neppure te ne accorgi. Troppo presto rispetto alle tue esigenze. Sembra che solo un minuto prima sei riuscito a trovare pace sotto le coperte. Quella maledetta cucitura della maglia del pigiama la senti proprio lungo le costole. Tiri, molli, allunghi ma il fastidio è martellante. Un tarlo. Il corpo si sveglia completamente, sembra che tutti i nervi confluiscano lungo quei pochi millimetri. Non senti nient’altro se non quel fastidio. Ti giri, rigiri, pancia in su, in giù ma quella schifosa ti si è attaccata al corpo. L’unica è alzarsi, aprire il cassetto e cercare altro da indossare. Quando finalmente l’hai avuta vinta le ore passano e neppure te ne accorgi. Il problema non è tanto alzarsi dal letto. Quello lo fai, lentamente, opponendoti ad una forza di gravità che ti obbligherebbe a rimanere spiaccicato sul materasso. Dopotutto se fai i conti, di sonno ne hai avuto a sufficienza. Allora ti chiedi il perché della stessa storia ogni mattina, del perché non ti svegli riposato e pronto all’uso come si converrebbe.
La facciata è semplice, liscia, solo alcune lesene le conferiscono un che di ritmico. Al vertice dei due spioventi della sua copertura a capanna, un orologio, decorato su ceramica, a ribadire la mediterraneità di questo piccolo tempio a pochi metri dalla spiaggia
Mi accorgo che il ricordo è rimasto intatto in qualche fessura del mio cervello. Sono anni che non mi fermo davanti a quella scalinata, eppure avverto ancora il profumo dell’incenso nei giorni di festa. Penetrante e persistente, tanto da poterlo sentire a diversi metri di distanza. La piazzetta antistante è stato il luogo del ritrovo giovanile per tanto tempo. Ragazzini che stavano diventando adulti velocemente. Le ore passano in fretta, cambia solo il senso della loro percezione, o forse cambia solo il numero di quelle che sai di avere a disposizione. A quei tempi erano tante, talmente tante da non poterle contare, talmente in sovrannumero da potersi permettere il lusso di ignorarle. Qualche adulto ci avvicinava chiedendoci se fossimo tizio o caio, ché non era sicuro di averci riconosciuti per quanto fossimo cambiati, cresciuti. Gli atteggiamenti da bambini avevano lasciato spazio a movenze più mature, i maschi irrobustiti, le femmine ammorbidite nelle forme. Le ore passavano e i desideri prendevano forma. In quella chiesetta sono entrato diverse volte per accompagnare qualche amico che andava a sposarsi. Io stesso ci sarei entrato, emozionato e spaventato allo stesso tempo in attesa di una ragazza vestita di bianco, ma poi è successo altro. Avrei contato le mattonelle del pavimento in graniglia. Avrei alternato la conta: prima quelle azzurre e poi quelle grigie. Così avrei aspettato la mia sposa.
So che ho smesso di andarci, ma non so né perché né quando. So semplicemente che ho smesso
Le ore passano in fretta e ad un certo punto del percorso ti spaventa il fatto di non spenderle bene, di non saperle riempire. Ti accorgi che sfuggono, e per quanto stringi i pugni scappano via lo stesso. Ogni santa mattina sai di dover fare i conti con le tue paure, sai che il solo poggiare i piedi a terra significa mettersi al posto di combattimento. Di quelle tante ore, talmente tante da permetterti il lusso di ignorarle, troppe sono già passate, troppe ne hai sprecate. Il sonno è una droga, un’interruzione, una tregua. Non è ristoro, è solo una parentesi per riprendere fiato, un momento di sospensione, l’illusione di poter preparare una controffensiva. Ma le ore di sonno passano in fretta, troppa fretta.
Guardando quella chiesetta di fronte al mare, attraverso i vetri dell mia finestra, ho iniziato a chiedermi quale strada presi quel giorno che per l’ultima volta lasciai quel posto.
Ringrazio il mio fraterno amico, Gino Illiano, per avermi permesso di utilizzare la prima foto di questo articolo.