L’Arte e i Tatuaggi
Non è sempre facile definire con esattezza quanto rientri nel campo dell’Arte, lo so. Secondo il dizionario Treccani, si intende per arte in senso lato, ogni capacità di agire o di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche, quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere un’attività umana in vista di determinati risultati.
E mi sembra abbastanza chiaro.
In principio l’arte era intesa come tèchne, ovvero come l’insieme di capacità che permettono la creazione di oggetti materiali partendo da pura fantasia, nella quale, all’epoca, rientravano varie professioni quali ad esempio il fabbro, il pittore, lo scultore e l’artigiano. Col tempo tale definizione è andata via via diventando più restrittiva, associando al significato di arte quello di bellezza, che è anche il senso più diffuso con cui utilizziamo oggi la parola.
Ma quello di bellezza è un concetto soggettivo e così potrebbe e dovrebbe esserlo anche quello di arte. O, per lo meno, di ciò che possiamo definire tale.
Perché vi racconto tutto questo?
Perché sono una noiosona e perché sono una grandissima appassionata di tatuaggi.
Oh, i tatuaggi! Cosa sono? Arte? Follia? Masochismo? Ribellione? Estetica superficiale? Profonda rappresentazione di sé? Cosa? Ditemelo! Ché io non lo so. Non riesco mica a capirlo. Tutti dicono la loro e tutti vogliono avere ragione e quindi ci dimentichiamo del gusto e sentire personali. Ci dimentichiamo di ricordarci di non giudicare le scelte degli altri.
Da appassionata di tatuaggi e da tatuata mi sento spesso apostrofare con domande idiote, prive di logica e senso e che si nutrono esclusivamente di pregiudizi e stereotipi e che dimostrano l’inadeguatezza all’apertura mentale di alcuni dei miei interlocutori. Sono simpatica, lo so, me lo dicono.
Quel che invece vi voglio raccontare è che i tatuaggi possono essere guardati non solo dal punto di vista del e se te ne penti? E da vecchia? E cosa dice la gente? E come fai a trovare il fidanzato? Sembri sporca! Ti sei rovinata! (E non ci sono più le mezze stagioni!). Giuro. Perché i tatuaggi sono arte. Ma arte davvero. Certo, non quelli fatti in piazza dall’amico improvvisatosi artista o da chi crede di saper disegnare e invece dovrebbe considerare una professione alternativa.
La storia del tatuaggio – che non ha senso approfondire in questa sede – ha origini antichissime. Si pensi, ad esempio, alle decorazioni rinvenute su i resti di Otzi vissuto, secondo gli scienziati, circa cinquemila anni fa. O alle annotazioni del capitano James Cook che, approdato a Tahiti nel 1769 e osservando la popolazione del luogo, utilizza per la prima volta la parola tau-tau, la mamma della moderna parola tattoo.
Le motivazioni per cui oggi ci si tatua, ovviamente, sono molto distanti da quelle del passato o da quelle che riguardano popolazioni non esposte all’occidentalizzazione dove l’individuo veniva e viene contrassegnato come membro o non membro di una determinata tribù. Tali forme artistiche erano e sono non solo espressioni per celebrare l’io individuale o il proprio corpo ma possedevano e possiedono legami più intimi relativi a convinzioni religiose, spirituali e magiche.
Oggi ci si tatua nel tentativo di esprimere ciò che si è o si è convinti di essere
Proprio per questo il tatuaggio risulta un mezzo artistico che ha bisogno di un medium (l’artista) in grado di trasformare in materia visibile le nostre idee.
I tatuaggi sono arte, quindi, perché c’è tutto l’impegno e l’abilità e lo studio di chi li esegue. Sono arte perché c’è creatività, inventiva, passione e fatica.
Sono arte perché emozionano, perché hanno parole, perché sono la messa in immagini di sentimenti e lacrime e sorrisi.
Sono arte perché i tatuatori sono artigiani, creano, plasmano, trasformano.
E, come ogni forma d’arte, possiedono un potere. Quello delle emozioni.