Storie di ordinaria afro-italianità
Vieni a vedere, vieni a vedere
tu che parli senza sapere.
Vieni nelle nostre famiglie,
vieni nei nostri villaggi.
Saprai cos’è l’ospitalità,
il calore, un sorriso, la generosità.
Vieni a vedere chi non ha nulla,
guarda come sa donare!
E ripartirai ricco.
E non potrai dimenticare…Viens voir – Tiken Jah Fakoly, cantante reggae ivoriano
“Io sono romana, romana de Rrroma”. E stende le gambe lunghe davanti a sé, arrivando a toccare quasi l’altra parte del tavolo. Ci crederei, se non fosse per i capelli ricci, scuri e la pelle color cacao. “Romana di etnìa Avikam. Afro-italiana se vuoi”.
Mi spiega che gli Avikam sono un popolo fiero, orgoglioso, integro e culturalmente ricco. Un tempo schiavo, ma mai sottomesso. E mentre lo dice le brillano gli occhi, perché pure lei non si è mai sottomessa alla staticità delle definizioni, all’immobilismo delle etichette e alle spiegazioni preconfezionate. Pamela, alias Pagmetisse – come si firma nel suo blog, le risposte le ha iniziate a cercare da tempo, intraprendendo un viaggio che l’ha portata lontano.
“Non è stato facile crescere in Italia come figlia di una coppia mista, perché nel nostro Paese esiste ancora una sorta di rifiuto e di negazione della diversità. Si ha spesso la percezione che la parte “straniera” sia un elemento socialmente destabilizzante, quindi molti di noi hanno la tendenza a nascondere o rifiutare la propria metà non italiana. Nel mio caso non è stato possibile – fortunatamente aggiungerei – perché avendo la pelle nera c’è sempre qualcuno disposto a ricordarti che sei diversa. Io ho scelto di fare mia questa diversità, di considerarla un punto di forza, cercando di far convivere dentro di me le due culture. È una scelta che paga, anche se il percorso a volte è lungo e tortuoso”.
Soprattutto se, superati i trent’anni, fai le valigie per andare a scoprire per la prima volta le tue radici africane, l’altra metà di te. Di ritorno dalla “terra delle radici”, come lei stessa la ama definire, la sua mente già sogna di un futuro africano.
“L’attesa non è sempre una perdita di tempo, e per prepararsi ad esperienze del genere spesso una vita non basta”. Partire per la Costa d’Avorio significa affrontare il timore di vedere molte aspettative deludersi, troppe certezze frantumarsi contro l’ineluttabilità della realtà. “Perché in fin dei conti, nella mia mente, la Costa d’Avorio ha sempre rappresentato quel mondo ideale, quella dimensione immaginaria dai contorni idilliaci descritta con nostalgia da chi un giorno è dovuto partire”.
Per dirla con parole sue, lanciarsi alla scoperta di una parte così intima e allo stesso tempo così lontana della nostra identità è come tentare di scavalcare un muro difficilmente valicabile, costruito con pesantissimi mattoni fatti di legami e abbandoni, affetti e rotture, urla e silenzi, vecchie perdite e nuove conquiste.
Ma ad attenderla a destinazione c’era la prospettiva di una rinascita. E una famiglia, anzi, una comunità impaziente di incontrarla.
“La comunità mi ha accolta come se ne avessi da sempre fatto parte, nonostante in qualche modo pure qui io sia diversa”. Anche se ciò poco importa, perché il sangue è Avikam e la parentela non è comunque necessariamente basata sui legami di sangue. Qui si fa parte a tutti gli effetti del nucleo famigliare quando si contribuisce al benessere dello stesso, emotivo o materiale che sia.
E tuttavia le prospettive cambiano, perché se in Italia sei un’italiana scura – di origini africane, in Africa sei un’africana chiara – di origini italiane. La Blanche per così dire, la Bianca.
“Mi sono chiesta se sia realmente possibile trovare un equilibrio tra culture e identità. La risposta che mi sono data è sì, ma si tratterà pur sempre di un equilibrio mutevole, trasformista, in movimento”. La sfida è essere in grado di ridefinirsi costantemente, in base alla realtà con la quale ci si confronta, con l’obiettivo di mantenere intatta la propria specificità.
Pamela i pensieri sviluppati lungo il percorso di ricerca identitaria li diffonde in rete tramite il suo blog. “Il blog, che è un ottimo esercizio di scrittura terapeutica, vuole essere uno strumento di riflessione sulle tematiche della multiculturalità e dell’afroitalianità, sul cosa significhi nascere e crescere nel nostro Paese da italiani neri”. Dice che la più grande soddisfazione che questo progetto le abbia portato è la scoperta di quante persone si rispecchino nelle sue esperienze perché condividono lo stesso vissuto e di come la sua testimonianza aiuti molti genitori ad immedesimarsi nei loro figli attraverso le emozioni che cerca di raccontare.
Di ritorno dalla “terra delle radici”, come lei stessa la ama definire, la sua mente già sogna di un futuro africano. E l’Italia? “L’Italia è la mezza parte di me, dove c’è ancora molto lavoro da fare in termini di integrazione e accettazione della diversità. Ma ci sono tanti progetti della società civile che, nonostante le difficoltà, tentano di rendere questo paese veramente multiculturale”.
L’importante è non smettere di evolversi, non smettere di cercare. Perché qualunque sia la nostra storia, qualunque siano le nostre origini, il nostro volto arde dal desiderio di capirsi, di definirsi, di trovare una connotazione stabile nell’inevitabilità del cambiamento. Come il mare, sempre mutevole, sempre uguale a se stesso.
LA RICERCA
di Pamela Aikpa Gnaba
In movimento,
l’animo vagabondo
non segue i pensieri.Loro vorrebbero incatenarlo,
renderlo stanziale,
un cittadino,
integrato.Lui, segue il suo peregrinare
infrangendosi contro le delusioni
di un mondo in cui non ha terra.Non trova pace,
errando
nelle percezioni,
nei luoghi.Un passato di domande,
un presente di disillusioni,
un futuro di dubbi.Dentro freme.
MeticciaMente – Pensieri in libertà di un’italiana contemporanea
blog di Pamela Aikpa Gnaba