C’è crisi, ma va tutto bene: “Arbeit”
“Arbeit”, portato in scena il 18 aprile ai Carichi Sospesi di Padova, racconta l’entrata della crisi nel perimetro idilliaco della tranquilla provincia padovana.
Una ragazza racconta la sua storia di vita, di amore e di lavoro.
Nicoletta e Cristiano, conviventi non sposati; lei cresciuta in una famiglia sotto lo stemma della morale cristiana e dell’irremovibile ideale del lavoro.
Setting costante della sua lunga confessione è l’ambiente asettico di una clinica: il ciabattare di gomma sul linoleum, i bisbiglii di chi non vuole disturbare gli altri pazienti, anch’essi scomparsi con le loro storie ed i loro vissuti dietro una divisa e un comodino disadorno: tutti uguali, tutti nudi, nessuna corazza; niente più ricchi e poveri, operai e bancari. Tutto fermo: anche il lavoro.
La vita sta fuori, forse.
Lontano ma vivido, quel primo ricordo di una casetta in campagna per Nicoletta e Cristiano, le domeniche pigre a fare l’amore mentre le tortore ininterrottamente tubano. I Colli Euganei, le serenità del verde e azzurro della natura illuminata dal sole.
Vanno bene i vecchietti che al supermercato centellinano i centesimi perché non ne hanno più e va bene che i sorrisi delle cassiere si facciano sempre più piccoli e radi. Perché non ne hanno più.
Ma va tutto bene, purché si possa sognare un futuro più roseo ed una casetta. Piccola, intima, modesta.
Va tutto bene. Anche la crisi che arriva improvvisa e non è possibile che anche in paese, dove ci si conosce tutti, i locali inizino a chiudere. Non è possibile che i tg non trasmettano più servizi sulle creme e sui viaggi ma che ovunque rimbombino solo quelle cinque maledette lettere: crisi. Non è possibile che davvero nessuno ne sia immune – e invece sì: come la peste, la crisi con la sua falce non risparmia nessuno.
Ma va tutto bene – bisogna dirselo sorridendo, come fa la narratrice, sola sul palco: se ne uscirà. Va bene chiudere baracca e burattini perché il parrucchiere cinese fa prezzi più bassi di quello dove lavora Nicoletta, va bene lavorare quaranta ore a settimana per ottocento euro al mese, va bene dire addio anche alla voglia di fare l’amore perché la stanchezza ha la meglio e la sera alle nove è tardi, va bene lasciarsi andare ad una mesta routine. Vanno bene i vecchietti che al supermercato centellinano i centesimi perché non ne hanno più e va bene che i sorrisi delle cassiere si facciano sempre più piccoli e radi. Perché non ne hanno più.
Va bene cambiare un lavoro ogni ciuffata di mesi, ancora meglio sognare una vita normale facendo shopping per una volta in negozi di lusso, crederci quasi e poi essere riconosciuta – “tu sei la commessa del supermercato” – e vedere annientata la dignità di quell’illusione tanto ingenuamente lasciata crescere dentro di sé.
Arbeit è la storia drammatica di un fiore appena sbocciato a cui si staccano crudelmente tutti i petali, uno ad uno.
Raccontarsi la favola della felicità con la disperazione disegnata in volto.
La discesa nel baratro non conosce limite. Per inerzia si avanza e va bene finire in un night club, vanno bene le avances del datore di lavoro, va bene il lavoro in nero le crisi di panico la violenza e il disturbo post traumatico da stress, bene le voci indiscrete ed errate che girano in paese, bene la segregazione le incomprensioni i pianti in silenzio.
Va bene tutto: non va bene niente.
Arbeit è la storia drammatica di un fiore appena sbocciato a cui si staccano crudelmente tutti i petali, uno ad uno.
Ma che, in qualche modo, fiorisce di nuovo.
In mezzo a quei Colli Euganei che restano orizzonte prossimo, oltre la clinica: scorcio di serenità.
Info:
Carichi Sospesi
vicolo del Portello 12 – Padova
carichisospesi@gmail.com
carichisospesi@libero.itArbeit
prodotto da Teatro Bresci
Con: Anna Tringali
regia di: Giorgio Sangati