Il punto di non ritorno
E poi ti vince il senso del mistero di fronte a paesaggi che restano incastrati nelle fitte coltri nebbiose, dopo un recente passato ricco di colori e grondanti di rumori e vita. Paesaggi noti che vestendo l’abito invernale sembrano quasi sconosciuti, estranei, e di cui ti occupi solo nel caso in cui la malinconia torni a salvarti dalla piaga della dimenticanza.
Se l’uomo conoscesse l’esatto giorno in cui la sua vita si divide a metà tra il vissuto e l’ancora da vivere…
Come se l’occhio del mondo calasse la palpebra per concedersi il riposo dopo la stagione del frutto e dell’abbondanza, e da quella stretta fessura che sfugge al sonno, ci concedesse di guardare senza contorni definiti ciò che fu screziato, trasferendoci in una realtà meno sfrontata e decisa.
E il pudore rassegnato del mare… stanco da secoli di perpetuo movimento che, nonostante i violenti urli di questo vento, resta mite, deciso a non replicare con marosi e distruzione.
Sembra un miracolo di poesia la forza che nasce da questo posto incantato, immobile e incerto. Questa sedia mi è stranamente comoda. Resto col guardo fisso su onde innocue. Che forse fisso non è, se ne percepisce la dinamica danza. Come fisso non è quell’oscillante punto rosso laggiù, ancorato in mezzo all’acqua, che determina un concetto chiaro, che delimita il possibile dall’impossibile, il consentito dal proibito, la possibilità del ripensamento dal punto di non ritorno.
Il punto di non ritorno…
Se l’uomo conoscesse l’esatto giorno in cui la sua vita si divide a metà tra il vissuto e l’ancora da vivere, prima di compiere il suo giro di boa e ripartire, si fermerebbe un attimo, guarderebbe indietro salutando l’uomo che è stato e si avvierebbe verso la necessaria coscienza della fanciulla leggerezza. Ma non lo sa! E quindi guardandosi indietro, abbandona per sempre il bambino che è stato, avviandosi in quel non luogo della vita che consuma i giorni, nell’attesa che la brace esaurisca e le ceneri vengano sparse.