Arte allo specchio
Oggi vorrei fare un esperimento. Immaginate una camera vuota e uno specchio. Se in questa stanza facessimo entrare una persona qualunque e la trattenessimo lì dentro per cinque minuti, sono certa che si andrebbe prima o poi a specchiare. Un po’ come quando da soli si entra in un ascensore dotato di specchio. Chiunque, almeno per un secondo, cede alla tentazione del guardarsi. C’è chi decide di mirare direttamente ad un difetto, tipo quel brufoletto “scostumato” che ha deciso di far capolino sul mento, proprio lì in bella mostra. Oppure chi si compiace della cravatta scelta stamattina per andare a lavorare in ufficio ed approfitta per controllarne il nodo. O ancora, chi tira fuori dalla borsetta il rossetto per dare un po’ di colore alle labbra e si sofferma sulla ruga inaspettata accanto alla bocca. Ognuno di noi è un pochino vanitoso e narciso.
Lo specchio tra Ottocento e Novecento tornerà poi ad essere oggetto carico di significati allusivi, metafora dell’inganno, luogo privilegiato dell’indagine interiore di turbamenti.
Dal Gotico al Rinascimento si guardano allo specchio peccatrici o personificazioni di vizi capitali quali la lussuria o la superbia. Nel secondo Cinquecento, particolarmente in Italia, lo specchio rappresenta la seduzione. Venere, dea della bellezza, dipinta nel momento in cui si specchia. Tema così ricorrente da poter parlare di un vero e proprio fenomeno della psicologia della percezione: “l’Effetto Venere”.
Come per l’opera Venere allo specchio di Tiziano (1554), l’osservatore crede di guardare un quadro in cui Venere sta appunto ammirando il suo riflesso allo specchio. In realtà invece, dato che nello specchio è visibile il volto della dea, la splendida Venere sta fissando proprio l’osservatore o il pittore nel momento in cui la sta immortalando.
Questo effetto psicologico viene spesso utilizzato nel cinema, dove gli attori sono mostrati mentre guardano apparentemente sé stessi allo specchio, ma in realtà non fanno altro che guardare nella cinepresa posta non esattamente alle loro spalle. Una sorta di inganno fatto ad arte.
Di inganno parla anche l’opera di Caravaggio, il Narciso (1597). Il mito in questione lo conosciamo tutti: un ragazzo di nome Narciso, bello e giovane, è da tanti corteggiato, uomini e donne, tra cui la bella ninfa Eco. Lui però non ha occhi per nessuno. Un giorno, fermandosi nei pressi di un fiume, proprio nel riflesso di quelle limpide acque, nota una figura molto attraente.
Non comprendendo che quella figura in realtà è sé stesso riflesso, tenterà di baciarla e toccarla, senza successo. Afflitto da questa pena Narciso si lascerà morire struggendosi inutilmente. Caravaggio non mostra nulla dell’ambiente circostante. L’attenzione è tutta rivolta al soggetto. Straordinaria è la sua invenzione della doppia figura “a carta da gioco” di cui il fulcro è il ginocchio in piena luce.
Bisogna aspettare l’inizio dell’Ottocento per ritrovare un atteggiamento sereno e domestico nei confronti dello specchio, che torna a essere un semplice arredo della casa. La scena della ragazza allo specchio si riempie di una nuova intensità intimistica e psicologica; sarà dunque uno dei soggetti più frequentemente investigati. Come farà ad esempio Berthe Morisot in alcune delle sue opere, come in Giovane donna allo specchio (1876).
Lo specchio tra Ottocento e Novecento tornerà poi ad essere oggetto carico di significati allusivi, metafora dell’inganno, luogo privilegiato dell’indagine interiore di turbamenti. In quest’ultima chiave di lettura, esso diverrà uno dei temi preferiti dall’arte surrealista, ampiamente utilizzato da pittori come Magritte. Proprio l’artista belga diceva: “Ciò che è importante è proprio questo momento di panico, non la sua spiegazione.”.
Detto ciò si può meglio comprendere l’opera Le relazioni pericolose (1930). Una donna nuda tiene avanti a sé uno specchio rivolto verso lo spettatore. Lo specchio nasconde una parte del suo corpo, dalle spalle alle cosce, ma riflette, da un’angolazione diversa, il frammento del corpo che maschera. Magritte ha dunque dipinto due visioni diverse del corpo femminile: una di apparenza, l’altra, quella riflessa nello specchio, immaginaria. Una relazione pericolosa tra la realtà e il desiderio.
Con lo specchio dunque è importante andarci cauti. Non facciamoci risucchiare dal desiderio irrefrenabile di vederci perfetti. Un difetto, un neo, una imperfezione appunto è ciò che ci rende unici. Non facciamone un’ossessione. Specchiamoci con la consapevolezza che quello è il riflesso di noi stessi, del percorso della nostra vita, della nostra storia.