Rimini, la Romagna e Fellini
Pensare a Rimini. Rimini: una parola fatta di aste, di soldatini in fila. Non riesco a oggettivare. Rimini è un pastrocchio, confuso, pauroso, tenero, con questo grande respiro, questo vuoto aperto del mare. Lì la nostalgia si fa più limpida, specie il mare d’inverno, le creste bianche, il gran vento, come l’ho visto la prima volta.
Questo l’ha detto Federico Fellini. Lui che a Rimini ci è nato. Ci ha (un po’) vissuto e l’ha raccontata. Ma avrei potuto dirlo anche io se solo conoscessi le parole migliori per esprimere tutti i pensieri che mi attraversano la testa. Ma il mio vocabolario è quello limitato delle persone il cui sguardo va da sinistra a destra e non quello infinito di chi con gli occhi vede anche oltre le nuvole. L’ho conosciuta tardi Rimini. L’ho conosciuta per amore. L’amore quello che ti fa venire il mal di pancia e ti fa sentire invincibile e me la sono fatta amica per necessità. Perché una città del genere non potevo ignorarla. I mille contrasti che la caratterizzano sono un richiamo irresistibile. Nonostante le brutture. Nonostante la volgarità. Nonostante forse, ormai, c’è poca traccia di quel che cantava De André o rappresentava Fellini.
Non ci vado così spesso a Rimini, nonostante la distanza che mi separa sia davvero quella di un passo ma quella Rimini tra i gelati e le bandiere, quel pezzo di Romagna ormai lo sento parte di me più del luogo in cui sono nata. Le colline e poi la campagna e poi il mare e quei pezzi di costa così nostalgici, a volte, così pieni di tradizioni e di parole e di sudore e di mani forti.
Tutto a Rimini, per chi sa guardare, ricorda Federico Fellini.
Uno dei suoi figli migliori.
Dal centro storico, a Marina centro, ma anche fuori città: sul Colle di Covignano, come al Cimitero, o sul fiume Marecchia; ci si incontra con lui e il suo universo di bambino e di ragazzo, e si ritrovano tutti, uno ad uno, i luoghi di cui parla, quelli narrati, dove è ambientata una sua storia personale o un’altra sentita dire. Sembra di vederli tutti i suoi personaggi che passano in bicicletta o a piedi, e le visioni si sovrappongono allo sguardo reale. L’occhio cade su qualche personaggio di passaggio che ricorda Fafinone, Gigino, Bestemmia, Guàt, Raul, Giudizio o la Gradisca dalle forme pronunciate.
Quel che conta è l’odore del mare. Il vento quando tira gelido e solleva le gonne.
Forse oggi Rimini è lontana da ciò che era un tempo, forse il Grand Hotel non esercita più quel fascino che poteva avere nelle notti della bella vita e le traverse di Viale Regina Elena sono sconosciute ai più. Forse in pochi sanno di queste ventisei strade che portano i nomi delle pellicole e delle sceneggiature felliniane (avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo) e che sono una meravigliosa dichiarazione d’amore e di sentimenti.
Forse.
Ma quel che conta è l’odore del mare. Il suono dei gabbiani. I ciottoli. Il lungomare. La ruota. Il vento quando tira gelido e solleva le gonne. L’odore della piadina. La nebbia. La focarina per dare il benvenuto alla primavera. Il porto. Gli ombrelloni. La voce delle navi. Un Amarcord continuo. A tratti amaro. A tratti splendente.
E così è Rimini sì, ma così è anche la Romagna. Una terra meravigliosa che strizza l’occhio alla Toscana, che si fa provincia e si fa metropoli, che culla le proprie tradizioni e accoglie il cambiamento. La terra che Federico Fellini ha scelto di abitare per sempre, insieme alla moglie e al figlio Pierfederico all’ombra della creatività dell’artista Arnaldo Pomodoro.
Ma non sei curioso di sapere come va a finire? Ha detto Fellini a Zavoli riguardo la morte.
E alla domanda se ne avesse paura: Cosa debbo rispondere? Sì, no, dipende, non lo so, non mi ricordo, che tipo? L’inestinguibile curiosità che notte dopo notte ci fa svegliare ogni mattina accompagnandoci tutta la vita, non dovrebbe abbandonarci al momento della più inconoscibile delle esperienze, o almeno auguriamoci che sia così. Vedremo.
Già.